Tutti i colori di Yellowstone

Il diario descrive sette intensi giorni di viaggio in due parchi nazionali del nord degli USA da annoverare tra i più belli al mondo: Grand Teton National Park e Yellowstone, tra avvistamenti di fauna selvatica, panorami stupendi, fenomeni naturali impetuosi e i loro sorprendenti colori. La parte finale del diario è dedicata alle strade panoramiche del nordest del Wyoming e del Montana, alcune delle quali sono una vera a propria sfida a cui gli amanti dei viaggi “on the road” non possono rinunciare. 

 

Preparazione del viaggio  

Periodo: fine primavera, ultima settimana di maggio e inizio giugno.

Scelta del volo: destinazione Salt Lake City, ben servita da Delta via Parigi o Amsterdam. Possibile anche arrivare in aereo fino a Jackson o West Yellowstone, ma comporta uno scalo in più e orari difficili da combinare.

Auto a noleggio: 218 € per 8 giorni, con Alamo. Una Chevrolet Malibu spaziosa e affidabile.

Pernottamenti: 2 notti a Jackson in prossimità dell’ingresso sud del Grand Teton, 3 a West Yellowstone a un paio di km dall’ingresso ovest e 2 a Cody a 40 miglia dall’ingresso est. Scartata l’idea di dormire nei lodge all’interno del parco, un po’ perché i posti disponibili erano pochissimi, ma soprattutto perché i costi sono altissimi (a meno di 250-300 € per notte non si trova niente).

 

Da Salt Lake City a Jackson   

Arrivo a Salt Lake City alle 2 del pomeriggio. C’è tempo per ritirare la macchina e farsi con calma le 280 miglia (450 km) per raggiungere Jackson, attraversando la parte nord dello Utah per poi entrare nel Wyoming. La Chevrolet Malibu si rivela maneggevole, comoda e spaziosa senza essere eccessivamente grande, cosa che tornerà utile più avanti viste le restrizioni stradali molto probabili nella zona dei parchi. Più difficile abituarsi ai limiti di velocità delle strade americane, a volte esageratamente prudenziali in rapporto alla qualità delle strade, che sono grandi e in ottime condizioni, e al traffico non eccessivo. Guidare negli Stati Uniti non crea assolutamente problemi, anzi la difficoltà reale sta nel rispettare i limiti: 60 o 70 miglia fuori dai centri abitati, da 40 fino a 25 durante gli attraversamenti. E bisogna rispettarli: per esempio, se il limite è 60 miglia e vai a 63 dopo pochi km la polizia ti intercetta col radar e ti ferma per eccesso di velocità.  Il 10% di tolleranza qui non esiste.

Arrivo a Jackson in serata. Il Pony Express Motel è proprio alla periferia sud della città. Fa abbastanza freddo (2 °C), ma a parte la temperatura il tempo è buono e non ci sono avvisaglie di pioggia o di neve.

 

Jackson e Grand Teton National Park    

Jackson è una cittadina un po’ snob ma graziosa, dove un certo non so che di aristocratico si mescola con una piacevole atmosfera da far west. Sulla centrale Broadway Avenue, che è in pratica la US Highway 191, si affacciano bar, ristoranti, motel, negozi di souvenir e di articoli per la pesca a mosca, tutti rigorosamente in legno. Orsi e alci impagliate si sprecano. I negozi di T-shirt espongono magliette con la caricatura di Donald Trump con ciuffo biondo al vento e la scritta “we shall overcomb”, cioè… noi ci strapettineremo, invece di “overcome”, cioè “andremo oltre”. Colazione da DOG Down on Glen, in Glenwood Street, attirato dall’insegna “homemade scones”. Ne prendo due, uno al lampone e uno al mirtillo. Sono eccellenti e soprattutto saranno tre etti l’uno, al punto che verranno buoni anche per la colazione del giorno dopo.

All’uscita da Jackson imbocco la N 89 (continuazione della US 191) che sale verso il massiccio dei Teton. Molte delle attrattive si incontrano lungo la strada ancora prima di entrare nel Grand Teton National Park. Prima deviazione verso Antelope Road e Mormon Row, alla ricerca della case coloniche mormoni viste nelle foto durante la preparazione del viaggio. La Moulton barn, con i Teton incappucciati sullo sfondo, è la prima immagine da immortalare: pare che sia uno dei punti più fotografati d’America. Lo scenario è splendido, grazie anche a una corona di nuvole che staziona a mezza altezza tra la piana fluviale e le vette innevate. E’ tra le foto allegate al diario. La costruzione rimasta in piedi è ciò che rimane della fattoria con fienile costruita dai coloni John e Thomas Alma Moulton tra il 1910 e il 1940. Fotografi di tutto il mondo si fermano davanti al fienile per catturarne l’immagine con i Teton in background.

Da qui, proseguendo lungo la strada, ci sono molti altri viewpoints: Sleeping Indian Overlook, Glacier View turnout, Schwabacher’s Landing dove spesso vengono le alci all’abbeverata, Teton point grandiosa visione d’insieme sulle alte vette del massiccio, Snake River Overlook, Elk Fats turnout.

Dopo una quindicina di miglia, appare il cartello che indica la deviazione verso l’ingresso del parco, gate di Moran. Faccio il biglietto cumulativo Teton + Yellowstone, 50 dollari, validità una settimana. Dall’entrata di Moran si sale verso la zona dei laghi, mentre le 12 vette innevate del Teton Range, che si elevano fino a 4200 metri d’altezza, ti guardano dall’alto della loro imponenza. Grazie alla giornata tersa e limpida sembrano tanto vicine da poterle toccare. Per inciso, Grand Teton significa proprio “grandi tette”: è un toponimo attribuito al massiccio dai coloni francocanadesi che si stabilirono in quest’area delle Rocky Mountains attorno al 1800 per conto della Compagnia del Nord-Ovest.

Dall’entrata di Moran, costeggiando lo Snake River sempre lungo la N 89 che qui si chiama John Rockefeller Parkway, ci sono molti altri bellissimi scorci: Oxbow Bend, una spettacolare ansa lungo lo Snake River che viene solo dopo le barns mormoni come punto più fotografato del parco – il grande lago Jackson Lake e il delizioso Jenny Lake dentro le cui acque si specchiano le vette del Teton Range – la tortuosa strada che sale verso Signal Mountain con un eccezionale punto di osservazione a circa 2300 metri d’altitudine  – Willow Flats overlook, mezzo miglio a sud del Jackson Lake Lodge, con vista sulla prateria di Willow Flats.  

All’altezza di Colter Bay c’è un grande assembramento di macchine ferme lungo la strada, ranger in frenetica agitazione, un grande segnale luminoso “Caution wildlife” e una siepe di gente armata di teleobiettivi e binocoli che si spintona lungo la strada per riuscire a trovare la migliore inquadratura: oggetto del desiderio fotografico sono un’orsa con due piccoli che trotterellano lentamente sul limitare del bosco tra gli abeti e le betulle. L’orsa volge ogni tanto lo sguardo verso la platea di gente che la osserva, ma non sembra particolarmente infastidita da tanta attenzione. A un certo punto però, con grande disappunto degli astanti il trio si infila nel bosco e scompare alla vista. Scambi di indirizzi mail tra le amicizie nate per l’occasione: “tu mandami il filmato che io ti giro le mie foto fatte col 600 mm”, etc. etc.

I paesaggi del Teton, che ho avuto la fortuna di vedere col sole, non si dimenticano facilmente. Consiglio assolutamente di dedicare almeno un giorno alla visita di questo parco prima di dirigersi verso Yellowstone.  

Ritorno a Jackson in serata. Clint, il gentilissimo titolare del motel, mi consiglia la vicina steakhouse di Gun Barrel per la cena. L’enorme bisonte imbalsamato che sta proprio all’entrata (obiettivamente un po’ kitsch) invoglia a chiedere una bistecca di bisonte per la cena: si rivela ottima e tenera, annaffiata con l’eccellente birra Cold Smoke, una red ale prodotta nel Montana, e con accompagnamento di tre o quattro salse come usano fare gli americani. 

 

Verso Yellowstone     

Sveglia alle 6 per riattraversare il Teton Park, stavolta entrando dall’ingresso sud di Moose, lungo la Moose-Wilson road aperta al traffico solo da pochissimi giorni dopo la chiusura invernale. Questa strada, in gran parte sterrata, attraversa la foresta tra pozze, laghi e acquitrini che sono l’habitat favorito delle alci. La speranza è quella di avvistare il grande cervide. Lungo il percorso un po’ dovunque ci sono cacciatori di immagini già appostati con il loro armamentario di super teleobiettivi. Devono essere qui dall’alba. Ma l’alce non appare…. pazienza. Auguro a tutti quelli che faranno questo percorso di essere più fortunati di me e vedere anche le alci.

Si prosegue lungo la US 191 che sale verso Yellowstone. Sulla strada si incontrano le cascate Lewis Falls e poco dopo il Lewis Lake, dai bellissimi riflessi verde e turchese sulla superficie ghiacciata in lento disgelo. Ma come si fa a rinunciare a una fotoricordo sulla crosta ghiacciata del lago, che appare ancora abbastanza solida… detto fatto. La strada sale tra pareti di neve costeggiando il canyon formato dallo Snake River. Le numerose piazzole di sosta consentono di ammirare dall’alto il fiume che scorre tumultuoso, tra scoscese pareti innevate: un succulento antipasto dei grandiosi scenari che stanno per arrivare.

Il gate di ingresso al parco compare dietro una curva subito dopo l’area di picnic lungo lo Snake River. Dal visitor center di Moose nel Grand Teton a qui sono 43 miglia.

 

I loop e la caldera       

Chiedo ai ranger del gate se tutte le strade del parco sono aperte, vista la notevole quantità di neve ancora presente: confermano che sono tutte percorribili, anche quelle dell’altopiano est che salgono parecchio in alto.  La visita a Yellowstone si svolge lungo un percorso a forma di otto, il Grand Loop, a sua volta suddiviso in due percorsi circolari, quello meridionale di 96 miglia e quello nord di 70 miglia, uniti tra loro da un tratto comune che va dal Norris Basin a ovest fino alla zona del canyon a Est. In totale sono circa 270 km, a cui bisogna aggiungere le numerose deviazioni per fare i brevi ma scenografici drive che si aprono lungo la strada principale. Come in quasi tutti i parchi USA, i punti più interessanti sono tutti raggiungibili con l’auto, lasciando libertà di scelta al visitatore per fare trekking lungo i sentieri che si dipartono da ogni parcheggio e si intrecciano in tutta l’area del parco.

I due anelli del loop si snodano lungo il limite della caldera che costituisce ciò che rimane del vulcano che anticamente occupava l’attuale Wyoming settentrionale.

La velocità massima consentita nel parco è di 45 miglia all’ora, ma in molti punti il limite scende a 35 e persino 25 miglia. E’ assolutamente necessario rispettare i limiti, pena sanzioni pesantissime e se poi investi un animale hai ottime probabilità di finire dentro. Nei 5 giorni che ho messo in programma si riesce a percorrere quasi interamente i loop due volte, più le magnifiche strade esterne che meritano un capitolo a parte.

 

Da West Thumb all’Old Faithful        

Entrando da sud, i primi sbuffi di vapore che si vedono salire al cielo sono quelli del West Thumb Geyser Basin. La visita si sviluppa lungo un breve loop di mezzo miglio, che in parte lambisce il grande Yellowstone Lake. Non è l’area geyseritica più interessante, anche se si cominciano già ad apprezzare i colori delle pozze formate dai geyser: Abyss Pool, dalle profonde acque turchesi, e Black Pool una volta blu scura a causa di particolari batteri termofili di colore scuro, ma oggi schiarita dopo anni di temperature troppo basse rispetto a quelle tollerate dai batteri. Branchi di cervi e caprioli tutto attorno, per vederli basta scrutare nella boscaglia.

Proseguo verso ovest lungo il South Loop, in direzione dell’Upper Geyser Basin, quello dove si trova il famoso geyser Old Faithful. L’entrata nell’immensa area di parcheggio è un mezzo shock: è assolutamente necessario prendere nota del punto dove si è parcheggiata la macchina, altrimenti ritrovarla diventa un problema serio.  Il sentiero verso il geyser è sulla destra, breve e ben segnalato. Dopo poche centinaia di metri siamo davanti al principe dei geyser, l’Old Faithful. Il “vecchio fedele” erutta a intervalli di circa 90’. Per sapere quando ci sarà la prossima eruzione ci sono vari sistemi: si può chiedere ai ranger, leggere i cartelli che stanno nel visitor center, oppure guardare quanta gente c’è sulle panche dell’anfiteatro che circonda il rialzo dove sfumacchia il geyser: se l’anfiteatro è pieno, l’eruzione è imminente. Se è semivuoto, vuol dire che il geyser ha fatto da poco il suo dovere e quindi c’è da aspettare.

Siccome c’è poca gente sulle panche, decido di salire all’Observatory Point per vedere dall’alto l’eruzione. Salita dura, si va su di 200 metri in 0.6 miglia, ma il punto di osservazione sopraelevato vale lo sforzo fatto. Siamo in pochi sul crinale, una ventina in tutto. Ben presto arriva anche una coppia di marmotte e compaiono numerosi simpatici scoiattoli, speranzosi di ricevere biscotti o cracker, prontamente tirati fuori dai bambini di una coppia inglese salita fin qui. Sembrano abituati alle visite nel loro habitat: probabilmente aspettano solo l’arrivo degli scalatori che giungono qui per integrare la dieta standard di bacche e frutti di bosco.

Intanto è arrivata l’ora fatidica: mentre qualche raggio di sole si è fatto strada tra le nuvole l’Old Faithful esplode vapore e getti d’acqua calda verso il cielo, sparando a 40-50 metri d’altezza un volume d’acqua variabile tra 14.000 e 32.000 litri. Visto dall’alto, lo spettacolo è magnifico, per il geyser e per la cornice delle migliaia di persone che intanto hanno riempito le panchine dell’anfiteatro. Consiglio vivamente di salire fin quassù per vedere l’eruzione del geyser, possibilmente muniti di un tele per le foto, almeno un 300 mm.

Lascio il bacino del geyser per dirigermi verso West Yellowstone, dove starò per 3 notti. La strada (che è sempre la US 191) attraversa la foresta di Caribou-Targhee costeggiando il Madison River, mentre la luce di taglio della sera fa risplendere di un’aurea dorata i boschi di abeti che ricoprono le colline. Un assembramento di auto lungo il percorso segnala la presenza di qualcosa di interessante. Un branco di bisonti ha deciso di fermarsi a pascolare proprio in una piazzola erbosa di sosta, quelle dove di solito i viaggiatori fanno tappa per il picnic. Il branco è composto da una trentina di magnifici esemplari, con femmine e vitelli. Fotografi impazziti scendono dalle auto armati di ogni possibile strumento di ripresa, mentre i placidi animali si offrono ai click senza far caso agli intrusi. Bellissimi i primi piani dei bisonti mescolati al traffico stradale, ma è meglio non avvicinarsi troppo e soprattutto non fare gesti bruschi che possono irritare l’animale, specie le femmine che proteggono i piccoli. La carica del bisonte è la prima causa di incidente nel parco di Yellowstone. Sono animali pacifici ma si tratta pur sempre di bestioni alti quasi due metri e pesanti poco meno di una tonnellata.  

Ritroverò questo branco di bisonti tutte e 3 le sere di rientro a West Yellowstone. Evidentemente, hanno scelto i prati lungo il Madison River come pascolo.

Quella che ho descritto è una scena tipica che si può presentare in ogni momento durante la visita a Yellowstone. Le sorprese possono essere dovunque, ai lati della strada o dietro ogni curva, se non addirittura proprio nel bel mezzo della strada come capiterà più avanti. Gli spettacoli naturali si susseguono uno dopo l’altro incessantemente. E’ fondamentale tenere gli occhi bene aperti e la macchina fotografica pronta. 

Arrivo all’Hadley’s, il motel scelto per il pernottamento a West Yellowstone, che è quasi buio. Cercando un posto per mangiare, lungo la strada per Bozeman mi colpisce l’insegna luminosa del Three Bears Restaurant: si rivela ottimo per la carne e per il pesce (trota di lago o salmone), con una spesa non eccessiva attorno ai 30-35 dollari.

 

Lower, Midway e Upper Geyser Basin        

West Yellowstone è una città che non esiste. O meglio, è un agglomerato di motel, ristoranti, bar, shop center e tutto quanto può servire ad allietare la permanenza del visitatore diretto al vicinissimo parco. L’entrata Ovest è appena fuori dal centro urbano. Da qui, in direzione sud lungo il Grand Loop, si trovano i tre grandi bacini di geyser del parco: Lower, Midway e Upper geyser basin.

Levataccia alle 4 di mattina per vedere l’alba (prevista per le 5.30) e un po’ anche perché oggi è il Memorial Day qui negli USA e quindi chissà quanta gente ci sarà per le strade del parco. La strada segue il Firehole River. E’ mattino presto e c’è la possibilità di vedere animali. Il primo punto di interesse è Fountain Paint Pot, un’area geotermica proprio a lato della strada. La Celestine Pool, dalle acque turchese trasparentissime, è sulla destra appena entrati. E’ nota per essere stata teatro di uno dei più famosi incidenti accaduti nel parco, nel 1981, quando un cane si gettò nell’acqua a 70° C e il padrone lo seguì subito dopo nel tentativo di salvarlo. Ovviamente perirono entrambi a causa delle ustioni. Più avanti, tra i tanti sbuffi di geyser, colpisce l’attenzione Red Spouter (la sputacchiera rossa), una pozza fangosa color rosso mattone che ogni tanto spara fuori fumarole di vapore rossastro. Un po’ più in là il Clepsydra Geyser e un gruppo di geyser satelliti mandano al cielo continui sbuffi di vapore. Clepsydra erutta più o meno ogni 3 minuti.

Appena fuori da questo bacino c’è l’incrocio con il Firehole Lake Drive, uno dei numerosi percorsi speciali che non bisogna assolutamente mancare. Siccome è a senso unico, bisogna imboccarlo dall’ingresso sud che è poco più avanti. La strada costeggia il piccolo Lake Firehole, dal cui fondo sbuffano getti di vapore che alimentano in continuazione il bacino, e da qui fuoriuscendo vanno a confluire nello Hot Lake: il nome è un programma, visto che l’acqua di questo lago è praticamente bollente. Il lago è circondato dalla foresta, al cui limitare un coyote trotterella lentamente lasciandosi riprendere senza problemi, per poi infilarsi nella macchia e scomparire alla vista.

Proseguo verso sud fino al Midway Basin. E’ mattino presto, ma il parcheggio è già pieno e bisogna arrangiarsi a trovare un posto per la macchina lungo la strada asfaltata del loop. La signora di questo bacino è Grand Prismatic Spring, la più grande e più profonda delle sorgenti calde di tutto il parco, nonché di tutti gli Stati Uniti, e a giudizio di molti anche la più bella.

Le sorgenti calde di Yellowstone sono migliaia. L’acqua che fuoriesce è ricca di minerali: calcio, magnesio, manganese, ferro, silicati, che creano attorno alle pozze strutture a forma di cono e terrazzo. Grand Prismatic Spring si estende per più di 100 metri con una profondità di una quarantina di metri. La sorgente si contraddistingue per i suoi colori arcobaleno straordinariamente nitidi e brillanti. I batteri termofili hanno sviluppato lungo le rive una crescita algale rigogliosa di colore rossastro. Vista dall’alto, appare come un lago blu scuro brillante circondato da un anello arcobaleno di alghe. Peccato che questi colori non si possano apprezzare completamente, perché il sentiero Fairy Falls, che conduce alla collina che sovrasta la sorgente, è chiuso da giorni causa orsi in circolazione. Ma anche dal basso la visione lascia a bocca aperta. 

Nel bacino ci sono altre sorgenti dai colori stupendi: Opal Pool, Turquoise Pool, Excelsior Pool che è il geyser dove confluisce l’acqua bollente di Grand Prismatic. Un’idea della quantità di vapore proveniente dal sottosuolo: queste pozze riversano nel Firehole River che scorre più in basso circa 4.000 galloni (15.000 litri) di acqua bollente al minuto. Il torrente di acqua calda rossa e arancione passa proprio sotto la passerella di legno che si percorre durante la visita.

Proseguendo in direzione sud lungo il loop si incontrano due altri bacini pieni di geyser e sorgenti dai colori impressionanti. Appena entrati nel Black Sand Basin ci si imbatte nel Cliff Geyser, sempre molto attivo, quindi si raggiungono la Emerald Pool verde brillante e la Rainbow Pool blu scuro, le cui acque confluiscono nello stupendo grande Sunset Lake che ha le stesse tinte arcobaleno di Grand Prismatic ed è un ottimo punto per una bella foto ricordo. Più avanti, superata una spettacolare foresta di tronchi bruciati dall’acidità e dal calore delle acque di questa zona, si raggiunge il Biscuit Basin, che deve il suo nome ai depositi color arancio simili a biscotti che circondano la stupefacente Sapphire Pool dalle profonde trasparentissime acque turchese.

La visita al Midway Basin richiede almeno una mezza giornata, soprattutto se avete la fortuna di trovare aperto e percorribile il sentiero che sale sopra Grand Prismatic, così come un’altra mezza giornata (come minimo) è necessaria per girare con calma l’Upper Geyser Basin che viene dopo.

 

Dal Biscuit Basin all’Upper Geyser Basin

Dall’altro lato della strada rispetto al Biscuit Basin comincia, mal segnalato e seminascosto, un sentiero che porta fino all’Upper Geyser Basin e all’Old Faithful. Questo sentiero di 2.6 miglia è tra i più belli di tutto il parco. Generalmente viene fatto nell’altra direzione: dipende in quale parcheggio avete lasciato la macchina.

Poco dopo l’inizio del sentiero si trova Artemisia geyser, dalle acque turchese cristalline, quindi il sentiero si inoltra nel bosco per mezzo miglio circa. Qui incontro un ranger che mi chiede dove sto andando. Mi avverte che nel bosco è stata segnalata la presenza di un’orsa con due piccoli e lui è lì per bloccare l’accesso.  Insisto per proseguire e dopo vari tentativi finalmente mi lascia passare decidendo però di accompagnarmi. La cosa curiosa è che tira fuori un campanellino e lo fa suonare durante tutta la camminata di attraversamento del bosco: dice che bisogna fare rumore per segnalare la propria presenza agli orsi, che in questo modo non si avvicineranno. Sconsiglia invece l’uso dello spray antiorso, secondo lui buono solo da portare in Italia come ricordo. In mancanza di strumenti sonori, mi consiglia di mettermi a cantare. La cosa peggiore invece è stare fermi o in silenzio, perché in questo caso l’orso ti percepisce come un intruso e una minaccia e diventa aggressivo. Giunti davanti alla bellissima Morning Glory Pool, dalle acque verde scuro con una corona di alghe brune e arancio, il ranger mi mostra una specie di disco rotante con finestrelle che intersecano temperature e ceppi di batteri e mi spiega le ragioni della diversità di colori delle pozze e delle sorgenti. Quelle turchese hanno una temperatura relativamente bassa, tra i 60 e i 70 °C, mentre quelle blu e verdi raggiungono gli 80-90°C. Alla vivacità dei colori contribuiscono i batteri termofili che favoriscono la crescita di alghe che vanno dal giallo-arancio fino al verde smeraldo, contribuendo alle eccezionali tonalità di colore degli specchi d’acqua che si trovano nel parco. 

Morning Glory sta riacquistando a poco a poco la brillantezza dei colori che aveva in passato. Un po’ di anni fa i soliti imbecilli erano avvezzi a buttare oggetti di ogni genere nella pozza “per vedere l’effetto che fa”, col risultato che la bocca del geyser che sta sul fondo fu completamente intasata, la crescita batterica si bloccò e la sorgente perse completamente i suoi colori. Nel 1950 uno staff di geologi indusse un’eruzione per vuotare e ripulire la sorgente. Ne tirarono fuori 86,27 dollari in monetine, 76 fazzoletti, decine di tovaglioli, calze e magliette e persino un completo intimo femminile. Oggi è proibito gettare qualunque oggetto nelle acque di qualunque bacino, fiume o lago in tutto il parco di Yellowstone.

Dopo Morning Glory inizia il vero e proprio Upper Basin, che è il luogo più famoso del parco, il punto più affollato di turisti e quello dove c’è la maggiore concentrazione di geyser. In poche centinaia di metri si susseguono ben 75 geyser attivi, oltre a centinaia di sorgenti calde dalle sfumature e dalle trasparenze fantastiche.

Grotto Geyser e la vicina Fountain costituiscono un insieme curioso, una specie di grotta cava con un singolare cratere di deposito calcareo sinterizzato che si è formato nel tempo. Tra quelli che è più probabile vedere in eruzione ci sono Riverside Geyser, posto proprio sulla riva del Firehole River, Grand geyser, Aurum geyser, Castle geyser e Giant geyser. Il più curioso è Spasmodic geyser, cosiddetto perché ansima e rantola proprio come se fosse in preda a uno spasmo. Tra le sorgenti calde e ribollenti ce ne sono alcune bellissime: Beauty Pool, Chromatic Pool, Crested Pool dalle acque blu scuro che è la più calda di tutto il bacino e quasi sempre in ebollizione (93 °C), Doublet Pool, Economic pool dalle acque quasi scarlatte, Ear Spring dalla forma ad orecchio, Bluestar spring. Queste sono solo alcune, le più famose, delle decine e decine che si incontrano lungo il sentiero. Quando fate questo percorso controllate di avere uno spazio sufficiente sulla X-card, perché la quantità di foto che si scattano qui è infinita.

Giunti all’altezza del Lion Geyser Group, c’è un frenetico movimento di ranger che tentano di intercettare i visitatori. L’orsa con i due piccoli che era stata segnalata nel bosco vicino al Biscuit Basin, adesso è stata avvistata proprio in questa zona. Eccola lì sul limitare del bosco. È decisamente vicina, non più di 20 metri. I ranger trattengono a fatica i turisti dietro una transenna di legno. Mamma orsa, uno stupendo grizzly dal pelo bruno scuro lunga più di due metri, incurante del nugolo di spettatori che la stanno osservando, si gira e si volta cercando di far divertire i cuccioli, che le salgono sopra e la usano come scivolo per rotolarsi lungo un sopralzo. Dopo un po’ l’allegra famigliola si rimette in movimento verso est e si infila nella boscaglia, mentre il crocchio di turisti che si è fermato per lo spettacolo cerca di seguirla con i teleobiettivi e i binocoli abbattendo la resistenza dei ranger. Credo che avremo scattato al gruppetto di plantigradi qualche migliaio di click e girato un centinaio di filmini, ma è un gran bel ricordo che ognuno vuole portare con sé nel proprio paese di provenienza.

Ritorno alla montagnetta di Old Faithful mentre le panche dell’anfiteatro sono colme di gente: significa che l’eruzione è in arrivo. Questa volta ammiro lo spettacolo dal normale punto di osservazione. Puntuale come un orologio svizzero, alle 18.44 come è indicato sui cartelli, il “vecchio fedele” non smentisce il proprio nome e si produce in un altissimo getto di vapore che si staglia contro il cielo blu scuro di un temporale in arrivo.  Ma non è finita qui: mentre l’eruzione dell’Old Faithful diminuisce di intensità, il piccolo Beehive Geyser dal cratere poco più grande di una pentola per fare il minestrone, che sta a una ventina di metri, esplode un fragoroso getto che supera i 50 metri dì altezza, più alto ancora di quello del famoso vicino. Forse il piccolo geyser era invidioso e voleva procurarsi un po’ di fama personale, chissà….

Ci deve essere movimento geotermico sotterraneo nel bacino stasera, perché sul ritorno verso il parcheggio dell’auto osservo che i geyser Grotto, Grand e Giant sono tutti in eruzione. Ci sono da fare altre 2.6 miglia, ma questo percorso tocca talmente tante attrattive che non ci si stanca affatto. Naturalmente, durante l’attraversamento del bosco mi sono messo a cantare come il ranger aveva suggerito…. non si sa mai. Artemisia geyser, illuminato dai raggi del sole che creano giochi di luce sulla superficie turchese, è ancora più splendido di come l’avevo visto qualche ora prima. Dal Black Sand Basin salgono al cielo gli sbuffi del Cliff Geyser, anch’esso in eruzione.

Il loop completo dal Biscuit Basin a Old Faithful, andata e ritorno, è lungo un po’ più di 8 km, ma sono tutti in piano e non stancano, anche grazie alle numerose soste per le foto e le eruzioni.

L’ora abbastanza tarda consente di ammirare il tramonto all’altezza di Fountain Pot. Il sole che cala tra i tronchi anneriti dal vapore e gli sbuffi di Clepsydra geyser produce ombre lunghe sul terreno color panna che raccoglie le emissioni calde di questo bacino. 

Al ritorno a West Yellowstone incontro il gruppo dei bisonti che anche stasera sono venuti a pascolare lungo il Madison River. Naturalmente ci vuole una buona mezz’oretta prima di riuscire a superare la fila di veicoli che come ieri si è formata per godersi lo spettacolo.  

 

Norris Geyser Basin e Mammoth Hot Springs

Giornata dedicata alla regione nord-ovest del parco. 

Dall’incrocio di Madison prima deviazione verso il Firehole Canyon drive, un bel percorso laterale che costeggia il fiume Firehole addentrandosi in un profondo canyon delimitato da alte pareti rocciose. Il fiume pullula di trote e salmerini, così una moltitudine di pescatori a mosca o aspiranti tali si accalca lungo le sponde nella speranza che abbocchi qualcosa.  Lungo il fiume, dopo la cascata Firehole Falls, c’è un punto dove le rapide si aprono in un’ampia ansa che consente ai più temerari di fare il bagno… solo che invece dei turisti questa volta ad approfittarne è un gruppo di una ventina di cervi.

Poco più avanti si apre il Norris Geyser Basin.  È la zona più antica e continuativamente attiva della caldera che occupa i 2/3 di Yellowstone (circa 115.000 anni). E’ anche la zona di Yellowstone mediamente più calda, a causa di tre correnti magmatiche sotterranee che si intersecano fino a 2 miglia dalla superficie.  Già a 1000 piedi di profondità (305 metri) gli strumenti scientifici hanno registrato qui una temperatura di 237 °C.

La visita a questa area si sviluppa su due loop. Il primo, di 0.8 miglia, attraversa il Porcelain Basin. Questo bacino, che vale la pena di fermarsi ad ammirare dall’overlook  terrace in alto, appena entrati nell’area, è uno dei punti più interessanti di tutto il parco, nonché il più caldo bacino esposto. I colori che predominano qui sono turchese e avorio (da cui il nome “bacino di porcellana”, dovuto anche a numerosi depositi lattescenti di geyserite), mentre le alghe che crescono sparse qua e là colorano di macchie viola e verde i rigagnoli che scendono da piccoli avvallamenti e scivolano sotto le passerelle di legno. Il bacino a destra della passerella borbotta e pulsa come se fosse l’alambicco di un chimico. Piccoli geyser si aprono e si chiudono ritmicamente mandando sbuffi di vapore, mentre il grande Steamboat Geyser spara in continuazione verso il cielo i gas che provengono dalle sue profondità. Questo geyser è in assoluto il più alto (più di Old Faithful) e il più attivo di tutto il parco: non si ferma mai.

Il secondo loop di questa zona è il Back Basin, lungo circa il doppio del primo. Questo giro corre attraverso un’area in prevalenza geyseritica. Il geyser più famoso è Echinus Geyser. Se notate violenta formazione di bolle alla superficie del bacino significa che il geyser sta per eruttare: sedetevi sulle panchine ad ammirare lo spettacolo che sta per arrivare. Tra le pozze colorate di questa area, bellissime Emerald Spring e Cistern Spring, che è collegata allo Steamboat Geyser attraverso un canale sotterraneo. Nel bacino, molto bello da vedere al tramonto, colpisce il contrasto di colore tra le bianche superfici incenerite dai vapori condensati e i neri tronchi degli alberi che non hanno resistito alla temperatura e all’acidità.

Nel complesso, il Norris Geyser Basin è uno dei punti più interessanti e ricchi di colore del parco.

Proseguendo sulla strada verso nord si raggiungono le Gibbon Falls e quindi compare sulla destra la sbuffante Roaring Mountain, (“la montagna che ruggisce”), una collina calcarea alta 200 metri dalle cui fenditure erompono decine di fumarole che mandano volute di vapore al cielo.  L’appellativo “ruggente” deriva dai tuoni provocati ogni tanto dal vapore ad alta pressione che sfiata dalle fumarole.

Dopo una ventina di km si arriva al punto più a nord del parco: l’area delle sorgenti calde Mammoth Hot Springs. Questa incredibile sovrapposizione di terrazzamenti multicolori, tanto più intensamente colorata quanto maggiore è la quantità d’acqua calda che sgorga dal terreno, è una tra le zone più belle del parco. Le terrazze sono il prodotto di depositi di calcare sotterranei che vengono continuamente portati in superficie dalle sorgenti calde provenienti dal sottosuolo. Gli specchi di calcare si colorano di verde, rosso e bruno a causa delle alghe che crescono nelle calde acque sorgive, mentre l’acqua che rimane nei terrazzamenti prende una tonalità turchese dovuta al bianco fondale di carbonato di calcio. I punti più famosi sono Canary Spring, Palette Spring, Cupid Spring, Cleopatra Terrace e la stupenda Minerva Terrace, un caleidoscopio di colori che lascia a bocca aperta. Non per niente è stata scelta come immagine ufficiale di Yellowstone nella copertina del dépliant che viene fornito all’ingresso di ogni gate. In basso, alla base della collina di travertino che ospita i terrazzamenti, c’è il Liberty Cap, un cono dalla conformazione vagamente fallica che è in realtà un geyser dormiente.

Anche in questa regione vivono molti animali. Oltre ai bisonti qui si incontrano gli “elks”, i wapiti dalle lunghe corna ramificate che si spingono a pascolare fin nei giardini dell’Albright Tourist Center, e numerosi roditori e mustelidi (tassi, marmotte, martore, scoiattoli bruni e neri). Qui ho incontrato anche uno dei rari serpenti che vivono a Yellowstone: un “bull snake” (serpente toro) lungo almeno un metro e mezzo che attraversava la strada all’altezza di Minerva Springs. Altri serpenti da cui bisogna guardarsi sono i “rattlesnakes” (serpenti a sonagli), che però si trovano solo nella zona più meridionale e a bassa quota.

Visita alle cascata Undine Falls, a Calcite Springs Overlook con un’altra cascata e vertiginose vedute del canyon sottostante, quindi trasferimento a Cody per le ultime due giornate nel parco, lungo un tratto del Grand Loop  aperto solo da pochi giorni. Si sale fino al Dunraven Pass (2706 metri), tra barriere di neve e grandi neri bisonti solitari, probabilmente vecchi esemplari non in grado di reggere i ritmi di trasferimento degli esemplari più giovani, che si aggirano per la strada alla disperata ricerca di qualche spiazzo erboso libero dalla neve. Chiaramente quando li si incrocia bisogna stare molto attenti alla guida.

Prima di discendere verso il gate Est si arriva alla Chittenden Road, una deviazione che porta verso il monte Washburn (3122 metri). La strada si ferma a circa 3 miglia dalla vetta, dove c’è un osservatorio per il monitoraggio degli incendi. Nelle giornate chiare da quassù la vista spazia su tutto l’arco delle Montagne Rocciose del Wyoming, dal Teton Range fino alla Gallatin Valley al confine con il Montana.

 

Grand Canyon of Yellowstone 

Nella regione est del parco si trova la zona forse più bella di tutto il parco di Yellowstone: il Grand Canyon. Lo Yellowstone River, che fuoriesce dal grande Yellowstone Lake, forma le due spettacolari cascate Upper Falls (cascata superiore) e Lower Falls (cascata inferiore). Quest’ultima è alta 120 metri, cioè il doppio delle cascate del Niagara. Da qui il fiume si inoltra serpeggiando in un profondo canyon che arriva fino all’incrocio di Tower Junction, una trentina di km più a nord, per poi proseguire il suo lungo percorso per oltre 1000 km attraverso il Montana e il North Dakota fino a gettarsi nel Missouri. Il canyon è profondo 3-400 metri. Tutti i punti di osservazione sono sopraelevati e consentono di vedere dall’alto lo spettacolare scorrere del fiume attraverso le pareti di roccia.

Gli stupendi colori che rivestono le pendici rendono il canyon ancora più bello. I diversi stati di ossidazione dei minerali ferrosi presenti nelle concrezioni rocciose producono delle striature incredibilmente vivaci che vanno dal bianco panna a un intenso rosa salmone, passando per ogni tonalità di giallo e arancione. Qua e là spuntano macchie verdi di rari abeti abbarbicati alle scoscese pendenze al 70-80% della ripidissima parete. Verso il fondo del canyon la roccia assume tonalità color crema e miele, vicino alle verdi acque del fiume, che in alcuni punti manda sbuffi di vapore al cielo perché anche questa zona è geyseritica come gran parte del parco. Il punto migliore per avere una veduta d’insieme del canyon è Artist Point, dove c’è anche il parcheggio più grande. Il piccolo balcone di osservazione, sempre intasato di gente e spesso di pittori intenti a dipingere, consente di vedere la cascata e il corso del fiume nel canyon per oltre 1 km. La visione è semplicemente superlativa: questo è un punto da cui si fa fatica a venire via, abbagliati dalla bellezza dell’insieme (cascata e canyon) e dai meravigliosi colori sulle falde rocciose.

Artist Point è il punto più visitato del parco di Yellowstone, ma nella zona di Canyon Village ce ne sono molti altri da cui si hanno vedute spettacolari, tutti raggiungibili con l’auto o con bellissime passeggiate. Almeno un sentiero che dai viewpoints sopraelevati scende verso il fondo del canyon vale la pena di farlo, tenendo presente che tutti i percorsi sono molto ripidi e la risalita fa venire il fiatone. Bisogna mettere in conto 3-4 ore tra la lunga discesa lungo il canyon e soprattutto per la lenta risalita. Brink of the Lower Falls e Brink of the Upper Falls sono punti di osservazione posti appena al di sopra del fronte delle cascate, che quindi qui si vedono dall’alto. Grandview Point e Inspiration Point sono altri due punti imperdibili, il cui nome descrive da solo quello che si aprirà davanti agli occhi. Al momento della mia visita era chiusa la strada che porta a Uncle Point, perché non ancora spalata dalla neve, ma generalmente verso metà giugno anche questo tratto viene riaperto al pubblico.   

 

Hayden Valley e Lamar Valley    

Poco dopo l’entrata est del parco il solito crocchio di auto avverte che c’è qualcosa da vedere. Un gruppo di bighorns, le grandi capre di montagna con le corna ricurve circolari, sta scendendo dalle rocce rimanendo tranquillamente in equilibrio su un pendio praticamente perpendicolare, poi attraversa la strada e si porta dall’altro lato della montagna. Bellissimi animali. Da qui si sale verso il Sylvan Pass (2600 metri), per poi ridiscendere verso lo Yellowstone Lake. La foresta attorno al lago sta a poco a poco ricrescendo dopo l’incendio dell’anno scorso. Gli scheletri grigi e violetti degli alberi bruciati conferiscono ai panorami una spettrale spettacolarità.  Sulla strada si incontrano le rapide LeHardy, che vengono chiuse in primavera quando gli orsi vengono qui a rimpinzarsi di trote, come vediamo nei documentari alla TV di solito girati in Kamchatka o in Alaska. Più avanti c’è Otter Creek, lo stagno delle lontre. Proseguendo ancora, una forte puzza di uova marce avverte che siamo arrivati nella zona del parco dove le emissioni sulfuree sono più forti: Mud Volcano, il vulcano di fango.  Appena entrati c’è Dragon Mouth Spring, una bocca simile a una grande tana che deve il suo nome al cupo rumore proveniente dal sottosuolo. I nomi degli altri punti interessanti di questa zona sono tutto un programma: “black dragon cauldron”, “grizzly fumarole”, “churning cauldron” (il forno), “sulfur cauldron” (punto più acido del parco, pH circa 1.3), “sour lake” (il lago sotterraneo). Tappandosi ogni tanto il naso per resistere alle esalazioni di acido solfidrico e anidride solforosa, il percorso lungo il loop di visita vale davvero la pena.

Il tratto del Grand Loop che va dall’ingresso est verso nord porta a due grandi vallate. La prima che si incontra è Hayden Valley, formata dallo Yellowstone River che qui è ampio e poco profondo e crea vaste praterie erbose dove grandi branchi di bisonti pascolano il libertà.

La Lamar Valley è più avanti, fuori dal Grand Loop in direzione est lungo la Wyoming 212. Le due valli sono i posti migliori del parco per gli avvistamenti di animali. Le ore del mattino sono quelle più favorevoli, quando lupi, orsi e coyote si mettono in movimento alla ricerca di cibo. Facendo tappa a Cody, come me, vuol dire muoversi dalla città almeno alle 5 di mattina per potere arrivare sul posto presto e avere le maggiori probabilità di vedere gli animali. La levataccia è sempre ricompensata, anche se per lupi e orsi è necessario un binocolo o un teleobiettivo potente perché quasi sempre appaiono molto in lontananza, al limitare dei boschi. Vicino alla strada scendono invece i bellissimi pronghorns, l’antilocapra americana dal mantello fulvo striato di bianco. Altre sorprese sono sempre possibili: guardando bene negli anfratti rocciosi abbiamo individuato il nido di un astore a guardia dei piccoli, rapace abbastanza difficile da incontrare. Nella magnifica scenografia della prateria, lungo i tanti corsi d’acqua, grandi branchi di bisonti pascolano pacifici. Scene da “Balla coi lupi” e “Sfida a white buffalo”. Pensare che alla fine del XIX secolo questi magnifici animali erano praticamente estinti, cacciati per le pelli e la carne. Oggi si stima che ce ne siano 4-500.000 tra Canada e Messico.

 

Cody, la città di Buffalo Bill 

Fa caldo a Cody. Ci saranno almeno 25 gradi e ci si può mettere in maglietta. Non è una città particolarmente cara: il Sunrise Motel, che ho scelto per il pernottamento, è risultato il più conveniente degli alloggi scelti per il viaggio (72 dollari colazione inclusa).

La città si trova a circa 40 miglia di distanza dall’ingresso Est. Un nome un programma: questa è la città del mitico Buffalo Bill, il cui nome vero era William Frederick Cody. Praticamente tutti gli edifici che si affacciano lungo la centrale Bighorn Avenue ricordano il mitico cowboy o la vocazione western della città: Buffalo Bill’s Irma hotel, Buffalo Bill village, The million dollar cowboy bar, etc….

Al grande cacciatore di bisonti è dedicato il “Buffalo Bill Center of the West”, un museo-rievocazione che vale la pena di visitare vincendo la diffidenza: non è affatto un’americanata. Il museo presenta episodi della vita di Buffalo Bill, ma anche scene di vita delle tribù indiane, dei coloni e dei cercatori d’oro che sono arrivati fin qui. In ogni periodo dell’anno sono aperte mostre, rassegne fotografiche, piccoli musei a tema. Ho trovato particolarmente interessante e realistico il Museo Indiano delle pianure, che racconta la storia e la vita degli indiani delle pianure centrali, la loro cultura, le tradizioni, i valori, le storie e i contesti della loro vita. 

Malgrado le evidenti concessioni alla modernità, a Cody si respira ancora un’atmosfera da Far West. Per le strade accanto alle auto girano cowboy a cavallo con il classico cappello color panna ad ampie falde. Lungo Sheridan Avenue ci sono saloon con fuori le sbarre per legare i cavalli (fate un giro al Proud Cut saloon se avete tempo). Vecchie diligenze e carrozze di legno sono esposte un po’ dovunque, e chiaramente non mancano finti bisonti (di legno, di ferro battuto, impagliati) e i palchi di cervo e di toro appesi alle pareti dei locali e degli shop.

  

Cody Nite Rodeo 

Cena all’ottimo ristorante Cassie’s, appena fuori Cody sulla Highway 14. E’ il 1 giugno: oggi inizia la stagione estiva dei rodeo notturni per i quali Cody va famosa. La città si qualifica come “world capital of rodeos”, che in effetti non ci vuole molto visto che il rodeo lo fanno solo qui nel West USA e in qualche area del Sudamerica.

Qui il rodeo lo prendono davvero sul serio. Forse con un po’ di prosopopea la serata parte con l’inno nazionale americano (peraltro negli USA lo suonano in occasione di tutte le manifestazioni pubbliche). Quindi tutti in piedi in silenzio ad ascoltare “The Star-Spangled Banner” cantato da una ragazza in costume da cavallerizza con il classico cappello da cowboy a larghe tese. Appena finito di cantare la ragazza lascia il microfono e si unisce al gruppo delle colleghe che stanno per iniziare la loro esibizione nell’arena. Le cowgirls non fanno in tempo ad entrare nell’arena che il cielo si apre in un acquazzone da diluvio universale, ma le cavallerizze non fanno una piega: continuano a volteggiare sui cavalli dando sfoggio della loro abilità malgrado gli scrosci d’acqua violenti e il vento forte che spazza l’anfiteatro del rodeo.

La serata prosegue con gare di vitelli al lazo, abilità di monta su cavalli bradi, slalom cavalcando tra ostacoli e per finire il clou: il “bull riding”, cioè la monta di tori imbizzarriti per via di una cinghia che gli viene stretta sui testicoli. Vince chi riesce a restare in groppa il più a lungo possibile. Molti dei cowboy che si esibiscono sono professionisti esperti che provengono da tutto il West. In occasione dei grandi “Rodeo stampede” partecipano anche gauchos sudamericani. Brutto affare per un giovane cowboy sbalzato dal toro e calpestato dagli zoccoli dell’animale, che ha dovuto immediatamente essere portato via con l’ambulanza. 

Il rodeo è un appuntamento da non mancare durante la visita in questa città.

 

La spettacolare Beartooth Highway e le altre strade del nordest tra Wyoming e Montana   

Premesso che tutte le strade di Yellowstone toccano luoghi di una bellezza straordinaria, ce ne sono alcune fuori dall’area del parco, nel nordest tra Wyoming e Montana, che offrono scene da cartolina in qualunque punto ci si fermi.

La Buffalo Bill Scenic Byway (US 14) si percorre per andare da Cody a East Yellowstone lungo un tragitto di 52 miglia che attraversa la Shoshone National Forest. Raggiunge il Buffalo Bill State Park e passa a lato del lago (manco a dirlo anche questo intitolato a Buffalo Bill) che costituisce la principale riserva idrica della regione. Voto alla US 14 Scenic Highway: 8.

La Chief Joseph Scenic Byway (Wyoming Highway 296) inizia poco dopo la cittadina di Cooke City e raggiunge Cody dopo 62 miglia di paesaggi straordinari. Molti ritengono che questa sia la strada più panoramica di tutti gli Stati Uniti. Alcuni passaggi sono da brividi, come il ponte sul Clarks Fork Canyon che sormonta una gola di granito profonda 400 metri. Per fare fotografie da questo ponte per la prima volta mi sono messo la macchina fotografica a tracolla, perché avevo paura che la vertigine me la facesse scivolare dalle mani mentre fotografavo il baratro verso il basso. Un altro punto spettacolare è Dead Indian Pass (il passo dell’indiano morto), in prossimità del Dead Indian Summit Overlook. Da qui, guardando giù, si ha un panorama eccezionale sulle vallate della Shoshone Forest e sui tornanti che tracciano il percorso lungo i contrafforti dell’Absaroka Range.

La strada deve il nome al capo indiano della tribù dei Nez Percé (i nasi forati), noto come Chief Joseph (in realtà nella lingua indigena Hin-Mah-Too-Yah-Lat-Kekht). Assieme ai 1000 membri della sua tribù combatté lungamente l’esercito americano nel 1877 cercando di fuggire in Canada lungo un cammino di 1800 miglia dalla lontana Columbia, per poi arrendersi dopo la battaglia di Bear Pow nel Montana quando erano giunti a solo 30 miglia dalla meta. I superstiti accettarono l’esilio negli stati di Oklahoma e Washington, con la falsa promessa che se si fossero arresi (come fecero) sarebbero stati fatti ritornare nelle loro terre. E’ famoso il discorso pieno di orgoglio e dignità con cui Chief Joseph accettò la resa: “Ascoltatemi miei capi, sono stanco di combattere. Non abbiamo coperte né cibo e i bambini muoiono per il freddo e la fame. Non so dove siano molti di loro, forse sono congelati. Voglio avere il tempo di cercarli e vedere quanti riesco a trovarne.  Il mio cuore è malato e triste: non combatterò mai più”.  Lungo la strada sono numerosissimi i richiami alla lunga marcia dei Nez Percè verso una meta di libertà che non raggiunsero mai.

Alcuni video che ho visto su You Tube non rendono giustizia alla bellezza di questa strada, mostrando invece solo l’anonimo tratto finale che va da Cody all’incrocio con la US 120.  Voto alla Chief Joseph Scenic Byway: 9.5.

Ma la regina di queste strade extra-parco è la magnifica US 212 Beartooth Highway (la strada del dente dell’orso), che collega l’ingresso nordest di Yellowstone con Silver Gate nel Wyoming e Red Lodge nel Montana.

E’ una splendida mattina di sole e cielo azzurro senza nuvole quando lascio il gate nord-est di Yellowstone e dopo avere attraversato la Lamar Valley raggiungo Silver Gate e Cooke City dove inizia il tratto della US 212 noto come Beartooth Highway. La strada è stata aperta da pochissimi giorni, dato che rimane chiusa da metà ottobre a fine maggio. Seguivo con ansia i comunicati del Montana Department of Transportation per verificare quando la aprivano.

La strada attraversa l’Absaroka Beartooth Wilderness, tra Montana e Wyoming, passando per la Gallatin Forest, il Custer Plateau e la Shoshone Forest, per un tratto di circa 110 km. Il percorso raggiunge due catene montuose delle Rocky Mountains ricoperte di foreste: le Absarokas e il Beartooth Plateau, sede di alcune delle più antiche formazioni rocciose del Nord America. Sono tantissimi i punti dove vale assolutamente la pena di fermarsi e inoltrarsi in qualche sentiero, anche solo per brevi tratti.

Una sorpresa proprio all’uscita da Cooke City, tra le ultime case del paese: un magnifico giovane alce dal pelo bruno scuro, quasi nero, sta brucando i germogli in un giardino. La signora padrona di casa non ci fa caso, anzi mi dice tranquillamente “viene qui tutte le mattine a mangiare”. L’alce si lascia avvicinare moltissimo, fino a pochi metri, poi forse infastidito dalla presenza mia e di un’altra decina di turisti si infila nel bosco dietro le case e scende verso il torrente Crandall che scorre dietro una ripa. E’ l’unico alce visto durante tutto il viaggio, ma è pur sempre un bel ricordo da riportare in Italia.

Dopo Cooke City la strada comincia a salire. Va su, sempre più su, non smette mai di salire, tra ruscelli, nevai, laghi ghiacciati e foreste, fino ai 3400 metri del Beartooth Pass. Sul passo il centro di accoglienza “top of the world”, dove ci sarebbe la stazione di servizio più alta degli USA, non è ancora stato aperto, così c’è una coda di automobilisti con problemi di carburante e si apre una gara di solidarietà da parte di quelli che avevano provvidenziali taniche di scorta a bordo. Nulla da fare invece per un caffè e per i servizi: bisogna arrangiarsi. Forse adesso che siamo in piena estate il centro è stato aperto, comunque consiglio di fare il pieno a Cooke City o al massimo a East Yellowstone prima di intraprendere questo viaggio. 

La strada è una iniezione di adrenalina, procede lungo strapiombi e dirupi vertiginosi tra alte barriere di neve. Chiaramente richiede una guida attenta, perché è ripida e problematica per gli automobilisti inesperti, e inoltre gli americani hanno la caratteristica di impastarsi in manovre assurde a ogni tornante. Da brivido il tratto al culmine che corre tra due pareti di ghiaccio alte 4-5 metri. Sulla vetta il panorama spazia a 360 gradi sulle catene montuose innevate del Montana e del Wyoming. La giornata è tersa e la visibilità è eccezionale. Sono in funzione degli skilift e c’è gente che scia. Nella neve è stato aperto qualche breve sentiero, che porta a dei wiewpoints da cui, guardando giù, si ha la sensazione di dominare il mondo.    

La discesa è ripidissima e richiede la stessa attenzione alla guida, se non di più. I punti a strapiombo sono moltissimi, le pendenze notevoli, benché le strade americane di montagna siano mediamente più facili rispetto alle nostre. Ci sono molti overlook con parcheggio. Fermatevi almeno a Rock Creek Vista. Arrivati a Red Lodge, si può ritornare verso Cody lungo la Montana Highway 72, che pur non essendo citata in nessuna guida turistica è un’altra strada che offre panorami notevoli. In alternativa, se avete tempo e la cosa vi interessa, potete intraprendere il percorso di 120 miglia sulla Interstate 90 che porta a Little Big Horn, dove ci fu la famosa battaglia in cui gli indiani Lakota e Arapaho sconfissero il 7mo Cavalleria del generale Custer.  

Voto alla Beartooth Highway: 10.

 

Salt Lake City   

Ai lati delle strade che scendono da Yellowstone e attraversando Idaho e Utah raggiungono Salt Lake City si incontrano ogni tanto le carcasse degli animali morti a causa degli investimenti con auto e camion. Persino lungo l’Interstate 15, l’autostrada a 6 corsie che attraversa il West dal Montana a San Diego, ai lati della carreggiata giovani caprioli e bellissimi pronghorns giacciono abbattuti dal traffico, per non parlare delle decine di scoiattoli e tassi spiaccicati sull’asfalto. Questa è l’immagine più triste del viaggio, comune purtroppo a molte strade degli USA.

La capitale dello Utah ha solo 250.000 abitanti ma si estende su una superficie pari alla provincia di Milano. E’ in pratica un agglomerato urbano attraversato dalle autostrade, con un clima estremo: si passa da -20 °C d’inverno a +40 °C d’estate. Ci hanno fatto le Olimpiadi invernali nel 2002. In questo territorio inospitale, dove a causa del clima ostile non c’erano nemmeno nativi indiani, Brigham Young decise di costituire il centro mondiale dei fedeli della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, noti a tutti come mormoni. Costruirono il Tempio e gli altri edifici simbolo della loro fede religiosa. I mormoni hanno organizzato un servizio di navetta gratuito che raccoglie i turisti all’aeroporto e li porta a visitare le attrattive principali di Temple Square, il centro città. Una volta arrivati, ci sono guide (“the sisters”, le sorelle) provenienti da tutti i paesi del mondo che accompagnano i visitatori a vedere i principali edifici, le chiese e i monumenti del centro: il Tempio, cioè l’equivalente mormone di San Pietro per noi cattolici, la Assembly Hall, il Conference Center, il Tabernacle, il museo della storia della chiesa. Le mie “sisters” sono state due ragazze, una calabrese e una di Genova, che hanno abbracciato la fede mormone e vivono qui. I palazzi di Temple Square sono enormi e freddi, ma se fate questo giro non perdete il concerto nell’auditorium del Tabernacle, a mezzogiorno o alle 2 del pomeriggio. Qui c’è un eccezionale organo da 11.623 canne in 206 gruppi, che grandi organisti suonano durante la stagione estiva. La sala ha un’acustica incredibile, che le mie due guide evidenziano con un esperimento: il rumore dello strappo di un foglio di carta sul palco si sente perfettamente anche stando nelle ultime file del grande auditorium. Ho assistito al concerto del maestro organista Clay Christiansen, con musiche di Bach, Swinnen, Vierne e Mulet. Oltre alla bravura dell’organista, si rimane a bocca aperta ad ammirare la stupenda scenografia di luce soffusa alle spalle dell’organo, che cambia tonalità dal verde al rosa al celeste durante il concerto.

Da vedere, nella zona di Temple Square, anche la grande statua marmorea del Cristo nel Centro Visitatori Nord e il municipio di Salt Lake City, fotocopia del Capitolio di Washington.

 

Conclusione    

Grand Teton e Yellowstone sono due parchi che offrono una quantità incredibile di momenti, incontri e spettacoli unici.  Il viaggio che ho descritto si è sviluppato nell’arco di una settimana, 2 giorni per Grand Teton e 5 per Yellowstone. Gli appassionati di trekking dovrebbero mettere in preventivo un paio di giorni in più, per sfruttare al meglio le infinite possibilità di camminata che i parchi offrono. Infiniti sono anche gli spettacoli naturali che si ammirano durante la visita, come eccezionali sono le possibilità di avvistamento di fauna selvatica.

La cosa che mi ha colpito di più sono i meravigliosi colori di molte delle attrattive del parco: le sorgenti calde, il canyon, le pozze formate dai geyser, i laghi e i fiumi. Per questo ho voluto mettere un richiamo ai colori del viaggio nel titolo del diario.

Riguardo al periodo della visita, maggio e giugno sono mesi ottimi. Maggio magari meglio verso la fine, perché prima molte strade possono essere ancora chiuse per neve. Va benissimo anche l’estate, anche se come è ovvio in luglio-agosto c’è affollamento di visitatori. Anche l’autunno è un ottimo periodo, quando i colori della vegetazione virano al giallo e al rosso. In inverno rimangono aperti solo due ingressi, la temperatura scende sotto i venti gradi sottozero e la maggior parte delle strade è chiusa per neve.

Assolutamente da non perdere sono le spettacolari “scenic highways” che circondano il parco. Offrono spettacoli da brivido e da vertigine.