Irlanda
Aprile 2017
Wild Atlantic Way tutta d’un fiato
Giorni tra fine aprile e primo maggio, con relativi ponti e pause di lavoro. L’istinto del viaggiatore ancora una volta prevale sulle abitudini poltroniere causate dalla quotidiana frequentazione di internet e facebook. E’ l’occasione per un ritorno in Irlanda, a 30 anni di distanza dal primo viaggio nell’isola di San Patrizio. Idea: percorrere la Wild Atlantic Way, la lunga strada costiera che dalla costa sud della contea di Cork arriva fino all’Ulster nel nord.
Scelgo un’auto medio-piccola: anche se sono passati 30 anni dal viaggio precedente, il ricordo di una strisciata contro un muretto a causa delle anguste stradine di campagna irlandesi ancora non mi è uscito dalla mente. Onde evitare guai, aggiungo al noleggio una kasko sul veicolo. Per un viaggio come questo è perfettamente inutile prendere un’auto grande e ancora peggio scegliere un SUV: su molte strade l’ingombro sarebbe solamente un impaccio, oltre che contribuire ad aumentare i rischi di incidente. I pochi tratti di sterrato si fanno senza problemi anche con un’auto normale. E’ utile invece un tom-tom, per facilitare l’individuazione dei percorsi migliori e raggiungere le località di interesse senza sbagliare strada e senza perdite di tempo inutili. Alla fine il costo di assicurazione + navigatore (23 € al giorno) risulta maggiore dello stesso noleggio dell’auto (15 € al giorno), ma si tratta di due cose indispensabili per fare tanti kilometri senza patemi in questo paese.
Da Dublino a Bantry
Prima giornata di attraversamento delle regioni centrali, da Dublino a Bantry. Uscendo da Dublino ti aspetti di vedere subito verdi colline e greggi di pecore, come da stereotipo irlandese, invece il colore che colpisce di più è il giallo. Brillano di giallo i campi di colza in fiore, i cespugli di ginestre che spuntano dovunque, i narcisi nei giardini, le primule nei prati. Osservo che la fioriture sono ritardate di circa un mese rispetto a noi: il tepore primaverile qui arriva in ritardo. Persino le magnolie, in Italia sfiorite da un mese, qui a fine aprile biancheggiano in piena fioritura malgrado il vento forte che fa cadere i petali e li porta via.
Tappe a Kilkenny e a Cashel. La cittadina di Kilkenny è dominata dall’imponente castello del 1200 posto all’ingresso del centro abitato. Da qui parte il Medioeval Mile, lungo viale centrale che di medioevale in realtà ha solo un paio di torrioni e qualche porticato, per il resto è tutto un susseguirsi di negozi di souvenir e artigianato locale di dubbia fattura. Ai ricordini fatti con lo stampino possiamo senz’altro rinunciare, ma non certo a una corposa Smithwick’s rossa, la famosa e ottima birra di produzione locale, nel caratteristico Blaa Blaa bar in fondo al miglio storico.
Altra sosta a Cashel. Su una rocca che domina la pianura di Tipperary, quella famosa che cantavano i soldati durante la prima guerra mondiale, si stagliano i resti di un’antica costruzione del ‘500, prima fortezza e poi abbazia. Possenti mura di pietra hanno protetto dalle intemperie e dal degrado del tempo la torre circolare, la chiesa e una cappella romanica del XII secolo, mentre nel cimitero spiccano le croci celtiche sulle tombe. Il paesaggio dalla rocca è eccezionale, anche se un po’ di nebbiolina offusca l’orizzonte. Un consiglio per le foto alla rocca: prendete la stradina che sale sulla collina che sta di fronte. Dall’alto si riprendono belle immagini della rocca e dell’abbazia, con le colline e gli avvallamenti della contea di Tipperary sullo sfondo.
Si prosegue lungo la M8 e la N22, lasciandola all’altezza di Crookstown per continuare lungo le strette strade che attraversano la contea di Cork. Arrivo in serata a Bantry, in tempo per vedere l’opulenta Bantry House che meriterebbe un po’ di manutenzione e qualche cura in più da parte del giardiniere. Compaiono i primi cartelli con le indicazioni della Wild Atlantic Way (Sli an Atlantaigh Fhiàin in gaelico).
Beara Peninsula
Beara è la più piccola delle 3 propaggini meridionali d’Irlanda che si protendono verso l’Oceano Atlantico. E’ anche la meno frequentata dal turismo. Ho deciso di percorrerla non solo perché è l’inizio della Wild Atlantic Way, ma anche per sfruttarla come training per fare il callo con le strettissime stradine costiere, dove le corsie spesso sono poco più di una pista ciclabile ma ti puoi vedere arrivare dall’altra parte un bus di linea o un trattore. I folli limiti di velocità irlandesi consentono di andare fino a 80 e a volte 100 km/h su dei budelli pieni di curve cieche e angoli a 90 °C, con l’aggravio di rischio che gli spericolati autisti locali sfrecciano sempre alla massima velocità permessa.
La giornata di sole conferma che questa piccola penisola dal punto di vista paesaggistico non ha niente da invidiare alle sorelle più famose (Kerry e Dingle). Da Castletownbere fino a Lauragh sulla costa nord è tutto un susseguirsi di baie profonde e alte scogliere. Vale la pena di fare uno sforzo e arrivare fino in fondo, fino a Lambs Head (la punta degli agnelli). Davanti alla punta c’è l’isola di Dursey, l’unica isola al mondo a cui si accede tramite una funivia (!!). Il tratto in funivia sul mare è suggestivo e incuriosisce. La precedenza di salita però ce l’hanno le pecore, per cui se c’è in attesa un pastore col suo gregge bisogna mettersi il cuore in pace e aspettare il ritorno della funivia dall’isola, oppure rinunciare alla traversata proseguendo il viaggio lungo la costa nord. Niente di male: è un tratto di costa bellissimo. I punti più panoramici sono segnalati con qualche centinaio di metri di anticipo, come lungo tutto il percorso della Wild Atlantic Way. Il percorso è allietato ogni tanto da piccoli villaggi semideserti con pub dipinti a colori vivaci. Se siete arrivati fin qui, non perdetevi un fish and chips sui tavolini all’aperto del pub di O’ Neill’s a Allihies, osservando le rare macchine che passano per la strada. Anche se è ancora aprile e qui hanno un’ora in meno rispetto a noi, c’è luce fino alle 9 di sera, sempre che le nuvole non ci mettano lo zampino. La rossa facciata del pub è famosissima e si trova anche sulle copertine di alcune guide di viaggio.
Pernottamento a Kenmare, nel B&B Lissyclearig Thatched cottage alla periferia della città. E’ ancora aperto il Quill’s Woollen Market, store coloratissimo che è impossibile non individuare subito: una grande esposizione di maglioni, scialli, cardigan e sciarpe di lana in gran parte provenienti dalle isole Aran. Non sono proprio a buon mercato (un maglione costa mediamente sui 100-150 €, una sciarpa sui 35-50 €), ma alcuni manufatti artigianali sono davvero belli e soprattutto molto pesanti: basta prenderne in mano qualcuno per accorgersi che qui la lana non la lesinano. I colori sono tenui e delicati: bianco sporco, beige e verde chiaro.
Ring of Kerry
Prima esperienza con il temutissimo “full irish breakfast”. La colazione tipica degli irlandesi comprende tè o caffè, succo d’arancia, toast con burro e marmellata (ce n’è sempre almeno 2-3 tipi), a chi aggradano cereali di ogni tipo e genere, due grandi fette di bacon, due o tre uova fritte o strapazzate (il giorno che ho chiesto un uovo solo quasi quasi la signora si è offesa), una salsiccia abbrustolita e i terribili funghi fritti. Ora, ammesso di riuscire a ingurgitare tutto ciò alle 7 e mezza di mattina, è chiaro che a mezzogiorno di pranzo neanche se ne parla, o al massimo te la cavi con uno spuntino. Ma la colazione “pesante” è utile perché il programma di oggi è impegnativo.
Kenmare è un ottimo punto di partenza per le due grandi attrattive della regione: il Killarney National Park e il Ring of Kerry.
Il Killarney Park è un parco a una trentina di kilometri da Kenmare che offre paesaggi notevoli. Tra laghi e foreste c’è persino una delle poche cascate d’Irlanda, la Torch Falls. Centro d’interesse principale del parco la Muckross House, una splendida residenza vittoriana con un grande giardino che trabocca di colori per la fioritura primaverile, e l’antico Ross Castle affacciato sul Middle Lake. Poco fuori staziona un branco di cervi, saranno almeno una trentina, che non mostrano alcun timore dell’uomo. Altri li ho incontrati lungo la strada, sbucati all’improvviso dalla foresta. Non vale la pena invece di visitare l’abitato di Killarney che è un concentrato di negozi di souvenir per turisti.
Il Ring of Kerry è il tour della penisola di Iveragh, 200 km di puro splendore paesaggistico. La strada si snoda tra spiagge deserte, vista sulle tante isole che attorniano la penisola, muraglioni rocciosi e i tipici appezzamenti di terreno delimitati da muretti di pietra con le pecore o le vacche al pascolo, quelli che vediamo in tutte le foto dei reportage sull’Irlanda. Tolto l’anonimo tratto iniziale da Kenmare a Sneem, per vedere il resto della penisola basta seguire la Wild Atlantic Way, che qui è la N70, oppure meglio ancora lasciarla ogni tanto percorrendo una a caso tra le tante stradine che si dirigono verso l’interno o verso la costa. Attenzione che sono strette e senza vie di fuga, per cui all’incrocio con un veicolo è meglio fermarsi e lasciarlo passare. Del resto, loro non si fermano di sicuro, convinti di potere passare tranquillamente in ogni pertugio, mentre gli specchietti laterali si sfiorano pericolosamente a pochi millimetri di distanza.
Il Ring of Kerry è un grande spettacolo dappertutto. I luoghi di interesse sono tutti segnalati e ci sono piazzole di sosta nei viewpoints più panoramici. Davvero eccezionali alcuni tratti. I 15 km che vanno da Caherdaniel a Waterville corrono su un crinale alto 2-300 metri, da cui si godono vedute sconfinate sul mare punteggiato di isole, sulle spiagge di sabbia bianca, sui prati che declinano dolcemente verso il mare, sulle colline con i muretti di pietra. Un altro tratto meraviglioso è lo Skellig Ring, che raggiunge la punta della penisola a Portmagee. Questo villaggio è un gioiellino di casette multicolori con un porticciolo di vecchi pescherecci carichi di reti e ceste per i granchi: un’immagine da puzzle. Appena fuori dal borgo c’è il ponte che porta a Valentia Island. L’isola ha almeno due punti spettacolari: Bray Head da cui si vedono per un lungo tratto le scogliere della costa e la Geokaun Mountain (ci si può salire in auto) da cui si gode un magnifico panorama sulla punta della penisola di Iveragh e sulle isole circostanti, fino alla nascosta Foilhommerum Bay.
Consiglio di non tornare sulla terraferma dal ponte di Portmagee, ma di proseguire fino a Knihgt’s Town, la punta di Valentia, prendendo il ferry che fa la spola per ricollegarsi alla N 70.
Appena fuori Portmagee, proseguendo lungo lo Skellig Ring, ci sono le spettacolari Cliffs of Kerry. Ingiustamente sottovalutate, queste alte scogliere hanno poco da invidiare alle più famose Cliffs of Moher. Sarà perché queste del Kerry le ho viste col sole, ma le ricordo come le più belle tra le scogliere della selvaggia costa occidentale. Peccato solo che nel giro di mezz’ora il sole ha lasciato il posto a un acquazzone violento. Nessun punto di riparo e folate di vento forte che ti scaricano addosso secchiate d’acqua lungo il km circa che conduce alla piazzola di ingresso, dove arrivo bagnato fradicio. Lunga operazione di asciugatura e controllo della macchina fotografica che per fortuna non sembra avere subito danni. Il cellofan impermeabile, che ti porti sempre a dietro prevedendo questi eventi, quando serve fatalmente scopri che l’hai lasciato nella borsa degli attrezzi nel bagagliaio.
Adesso via verso la penisola di Dingle.
Dingle peninsula
E’ difficile dire quale delle tre penisole del tratto sudoccidentale della Wild Atlantic Way sia la più bella. Dingle non ha niente da invidiare alle altre due, anzi in certi tratti è la più spettacolare. La penisola è una frastagliata sporgenza che protendendosi nelle acque dell’Atlantico culmina nel punto più occidentale d’Irlanda. Da stropicciarsi gli occhi il tratto ad anello Slea Head Drive che raggiunge la punta estrema della penisola. Guardate attentamente soprattutto in prossimità di Ballyferriter: scoprirete le “Five Sisters”, cinque colline verdeggianti una dietro l’altra in successione, che il vento ha modellato come onde del mare. Spiagge bianchissime e deserte si aprono ogni tanto alla vista: Inch strand, Wine strand, Cappagh beach. In molte di queste spiagge si può scendere con l’auto. Proprio l’eccesso di confidenza mi ha provocato un guaio che avrebbe potuto incidere in maniera disastrosa sul viaggio. Scendendo verso la spiaggia di Dunquin, che è proprio sulla punta, non avendo individuato la fine dell’asfalto, completamente coperto di sabbia, sono finito con le ruote anteriori nella sabbia umida. Penosi e inutili tentativi di venirne fuori, col solo risultato di peggiorare l’affondamento. Nessuno in giro per un aiuto. Risalgo a piedi verso il villaggio, che sembra disabitato. Per fortuna, un contadino si accorge della mia presenza e mi chiede cosa è successo. Gli spiego l’accaduto: senza battere ciglio il gentilissimo colono prende un cavo da traino e scende con un trailer fino alla spiaggia, tirando fuori l’auto dalla sabbia. Poi ha persino soffiato il motore per eliminare i residui di sabbia che avrebbero potuto provocare dei danni agli organi in movimento. Tutto questo con una gentilezza e una disponibilità estrema, qualità irlandese che avrò modo di apprezzare anche in altre occasioni. Più volte ho cercato di dargli qualcosa per l’intervento così rapido e efficace: niente da fare. Ha accettato del denaro solo quando gli ho detto “take this as a gift for your children”. Poi mi ha confessato che gli insabbiamenti sulle spiagge sono frequenti, e che in estate non passa giorno senza che qualcuno sprofondi senza possibilità di venirne fuori. A quanto pare ho avuto l’onore di inaugurare la stagione dei recuperi delle auto insabbiate.
Il salvataggio dell’auto mi consente di proseguire il programma che ho in mente. Lascio la strada costiera per inerpicarmi lungo la R 560 che attraversa la penisola da Dingle a Cloghane e porta al Connor Pass, il passo più alto d’Irlanda: ben 416 metri…. alto forse è una parola grossa. La strada è stretta e difficile, soprattutto se imboccata da nord. L’incrocio con un camper (a cui teoricamente questo tratto sarebbe proibito) provoca rallentamenti e code di auto alla disperata ricerca di trovare un punto dove si riesce a incrociarsi indenni. Gran traffico di ciclisti lungo le rampe, essendo questa una salita prediletta dagli appassionati, nonché una delle poche salite serie dove possono allenarsi. Per fortuna sul passo il tempo è buono. La vista è magnifica, spazia tra colline battute dal vento e avvallamenti con tanti laghi dall’acqua blu cupo che si aprono tra il Rough Point e il monte Brandon, raggiungendo la costa nord della penisola fino alla baia di Brandon e a Castlegregory.
Tutti i borghi della penisola sono belli, ma Dingle, il centro principale, ha qualcosa in più. Casette colorate, viuzze a saliscendi lungo basse colline, un gran numero di locali dove davanti a generose pinte di birra dalle 9 di sera si suona musica tradizionale: fisarmonica, tamburello e gli assoli di una bravissima suonatrice d’arpa. Due locali in particolare, a 50 metri uno dall’altro, meritano una citazione e una visita: il giallo An Droichead Beag (= il piccolo ponte) e l’azzurro O’Sullivan’s Courthouse pub (Fàilte go tigh na cùirte = benvenuti nella casa della corte). Come si intuisce, qui il gaelico la fa da padrone.
Lascio An Daingean, cioè la penisola di Dingle, a malincuore.
Clare e il Burren
Per raggiungere la contea di Clare prendo il ferry che collega Tarbert a Killymore, evitando così di fare il lungo giro dell’estuario dello Shannon che termina a Limerick, nota tra l’altro per essere la città più brutta d’Irlanda.
Prima tappa a Loop Head, punta occidentale della contea dove si erge il Loop Head Lighthouse, uno dei tanti caratteristici fari sparsi lungo la costa. Il Loop Head Scenic Drive che si fa per arrivarci, passando per Carrigaholt e Kinbaha lungo la stretta e tortuosa R 487, è un altro tratto tra i più spettacolari della Wild Atlantic Way. Tra le numerose grotte scavate dall’erosione del mare, stupisce il Bridges of Ross, che si raggiunge imboccando la strettissima L 2000. Una laguna riparata dal vento creata da due lembi di scogliera uniti da un ponte di roccia naturale.
Dalla penisola di Loop proseguendo verso nord si raggiungono le imponenti Cliffs of Moher, primadonna delle scogliere d’Irlanda. Si ergono a picco sull’oceano da un’altezza di 200 metri. Il nome vuol dire “scogliera della rovina”, perché sul promontorio c’era il forte in rovina “Mothar”, demolito durante le guerre napoleoniche per costruire una torretta di segnalazione nella zona di Cape Hag. Altri asseriscono invece che il nome deriva dai rovinosi naufragi di molte imbarcazioni che in passato si sono infrante contro i bastioni di roccia a causa del vento fortissimo e delle onde alte 3-4 metri. Come oggi: vento forte e pioggia sottile rendono difficile la camminata sul ciglio della scogliera, che però val bene un po’ di sforzo e un mezzo infradiciamento. Mi chiedo se qualcuno è mai riuscito a vedere i cliffs col sole, dato che nuvole e pioggia qui sono di casa. Nel pomeriggio il vento si abbassa un po’, così verso le 5 dal porto di Doolin riesce a salpare il battello che porta alla scogliera. Le onde sono ancora alte, la piccola imbarcazione è scossa da rollii e beccheggi e si fa fatica a stare in piedi, ma lo spettacolo eccezionale giustifica qualche disagio. Vista dal basso la scogliera impressiona ancora di più, pare ancora più alta e strapiombante di quello che è. Ci avviciniamo tantissimo a un alto dente roccioso che si è staccato dal massiccio, mentre urie e gazze marine svolazzano attorno nervose come volessero dissuaderci da un ulteriore approccio verso la roccia, che ospita i nidi dove si stanno schiudendo le uova.
Sulla barca, malgrado la totale instabilità, grazie all’aiuto degli inservienti che ci tengono fermi, alla fine si riesce a scattare qualche bella foto anche dal basso. Chiaramente, bisogna scartare tutte quelle dove a causa delle ondate e delle violente oscillazioni invece degli scogli si vedono solo i nasi e i gomiti degli altri passeggeri.
Per quanto imponenti, queste non sono però le più alte scogliere d’Irlanda, primato che spetta alle Slieve League nel Donegal.
L’entroterra del Clare è occupato in gran parte dal Burren, pietraia calcarea che non entusiasma malgrado i fiorellini multicolori che fanno capolino tra le rocce. Meglio seguire la R 477 Burren Coastal Route, bellissima strada costiera che va da Doolin a Ballyvaughan. Questa strada si snoda tra massicci di pietra color grigio chiaro levigati dal vento e tavolati tra cui pascolano vacche disperatamente alla ricerca di interstizi erbosi. Fatta di sera, con un po’ di bentornato sole che illumina le rocce, è uno spettacolo. Inoltre, a Ballyvaughan ci sono dei ristorantini di pesce mica male praticamente sconosciuti alle guide turistiche: segnatevi Monks at the Pier a Lisanard. Questo percorso costiero è alternativo al classico giro interno del Burren, quello che raggiunge una specie di menhir megalitico raffigurato nelle immagini classiche di questa regione.
Prossima tappa: Galway e il Connemara.
Galway e il Connemara
Arrivo a Galway in serata, dopo essere passato per l’incantevole borgo di Kinvara. Galway, centro universitario vivace con tantissimi locali di frutti di mare (ostriche soprattutto) è un ottima base per le visite nel Connemara a nordovest e nel Burren a sud.
Il Connemara cantato da Fiorella Mannoia è una meraviglia di paesaggi dovunque, sia che si scelga una delle strade interne che vanno verso il Lough Corrib, oppure l’itinerario costiero con le stradine che tra mille curve e ponti di pietra strettissimi si snodano saltando di istmo in istmo, di isola in isola. L’ideale sarebbe fare entrambi i percorsi.
Per chi privilegia l’interno, il Connemara offre altopiani assolati con una miriade di laghetti dall’acqua tinta di rosso-bruno dalle torbiere, tra brughiere solitarie, foreste di abeti e colline erbose ingiallite dal vento. E’ un paesaggio che incanta, secondo molti l’essenza dell’Irlanda.
L’itinerario costiero è una serie infinita di baie e spiagge dove spuntano ogni tanto piccole fattorie che non si capisce mai se stanno su un’isola o sulla terraferma, a causa della marea che ritirandosi o avanzando scopre o copre lunghi tratti di costa, a volte anche per kilometri. La marea che si ritrae è uno spettacolo impressionante: una corrente turbinosa che corre verso il mare lasciandosi alle spalle gialli letti di alghe, pietre coperte di coralli e vegetazione marina e stormi di gabbiani che fanno festa con i molluschi rimasti sul bagnasciuga. Alcuni paesini sono delle vere e proprie perle: Roundstone, per esempio, le cui case colorate sbucano all’improvviso dietro una curva, Ballyconneely, Clifden, Cleggan. Fate una deviazione verso Leitìr Mòir “una comunità di isole”, insieme di piccoli agglomerati di case 100% “gaeltacht”, dispersi tra centinaia di isolotti uniti da stradine minuscole e ponti delimitati da muriccioli di pietra. Se arriva un trattore, o un qualunque veicolo, non rischiate, controllate se ci sono pietre che sporgono dai muretti e fermatevi: in qualche modo si riuscirà a passare, senza strisciare la macchina contro le sporgenze irregolari delle pietre.
Il tratto di costa che va da Roundstone a Ballyconneely è una delizia per gli occhi, come pure il tratto dopo fino a Clifden, che è considerata la capitale del Connemara. Questa è la zona dove i fiumi e i laghi sono più ricchi di salmoni: lo si nota subito per i tanti pescatori che si esercitano lungo le rive. Tutti pescano rigorosamente a mosca, e tutti fanno catch and release se prendono qualcosa.
Ma la perla della regione si trova a Letterfrack: l’incontro con l’abbazia di Kylemore è stupefacente. Le ali bianche e i torrioni della famosa abbazia si specchiano nelle acque scure del Lough Kylemore creando riflessi di immagini e di luce meravigliosi.
Per finire una chicca che non si può mancare: a Alleyfrack, vicino a Ballyconneely, cercate la Connemara Smokehouse, tipica azienda semifamiliare per l’affumicatura del pesce (ce n’è una analoga anche a Lisdoonvarna nel Burren): vi mostreranno le fasi della lavorazione del salmone, che deve essere rigorosamente “wild salmon” (cioè quello pescato, non d’allevamento), oltre che di tonni, sgombri e altri pesci, fino al confezionamento finale. Eccezionali sono il salmone marinato all’aneto e il tonno affumicato. Vale la pena di fare qualche acquisto, soprattutto se avete in programma il viaggio di ritorno a breve: le buste termiche durano 4 giorni. Altrimenti ve lo spediscono a casa con un corriere aereo, con un sovrapprezzo di 25 €.
Come sempre, anche dal Connemara si viene via a malincuore.
Sligo e il Donegal
Sosta a Westport, nell’ottimo Mulberry lodge, altro borgo incantevole caratterizzato da una serie di piccoli ponti di pietra addobbati di fiori che si susseguono lungo il fiume Carrowbeg. Da Westport, andando verso nord, si attraversano le contee di Mayo, Sligo e Donegal.
A una quarantina di km da Westport c’è la splendida Achill Island, che si raggiunge facilmente perché un ponte la unisce alla terraferma. Qui le pecore dal caratteristico muso nero, che ogni pastore macchia con un colore identificativo, escono spesso dai recinti delimitati da muretti a secco. Così, trovarsi davanti un gregge che attraversa la strada è quasi la norma. Bisogna avere pazienza e lasciare che pecore e agnelli zampettino fino al prato più vicino. Andando fino in fondo, fino alla punta di Achill Head, si raggiunge una baia nascosta con grandi manifesti che mostrano l’antica attività di pesca degli squali elefante. Dicono che con un po’ di fortuna questi grandi squali che vagano per il mare con la bocca spalancata inghiottendo plancton si possono vedere dal promontorio in fondo all’isola, magari in compagnia di qualche gruppo di delfini. Se non ci sono, ci si può riempire gli occhi con il panorama dall’altra parte, verso i bianchi villaggi di Keem e Keel sferzati dal vento e verso la bianca scogliera della costa nord dell’isola.
Le frastagliatissime coste di Sligo hanno decine di punti panoramici, tra scogliere che si susseguono a picco sul mare. Le altissime Slieve League sono quelle più note, ma eccone una spettacolare e facile da raggiungere: il promontorio di Mullaghmore. Qui il vento è sempre fortissimo. Le folate fischiano e schiumano tra onde alte 3-4 metri che si infrangono sulle rocce con una violenza e un fragore impressionante, con la caratteristica sagoma del Ben Bulben, montagna cara a Yeats, sullo sfondo. D’estate coraggiosi surfisti si radunano qui per sfidare le onde. Dal porto partono ogni tanto piccoli battelli che permettono di vedere dal mare la spettacolare costa. Al ritorno doverosa sosta al ristorante Eithnas by the sea, attorno alla cui porta azzurra è dipinto un grande murale di vita marina che occupa tutta la facciata. La foto a questa facciata blu avrà un ruolo di rilievo nel vostro slideshow da presentare agli amici. L’enorme rombo alla griglia, se avete scelto questo pesce per la cena, è una delizia che non si dimentica.
Poco dopo inizia il Donegal, una delle contee più belle e ingiustamente sottovalutate d’Irlanda, un susseguirsi di colline dolci macchiate di ginestre che terminano in baie profonde e coste frastagliate.
All’estremità nord del Donegal c’è il mitico faro Fanad Lighthouse, forse il più bello tra i tanti fari irlandesi. Il percorso per raggiungerlo è lungo, ma ne vale assolutamente la pena. Le colline verdeggianti del Donegal, mano a mano che ci si avvicina al mare si ricoprono di ginestre e le rive dei laghetti nascosti si circondano di boschi di abeti. Poi il faro compare in fondo a una lunga stradina, su un promontorio che si staglia sugli isolotti circostanti.
Ma il faro non è il punto più a nord dell’Irlanda. Allora, per uno di quegli attacchi di schizofrenia da kilometraggio, quel misto di curiosità e di desiderio di raggiungere i punti estremi che talvolta prendono il viaggiatore on the road, decido di fare una lunga deviazione per raggiungere la punta più settentrionale d’Irlanda: Malin head. I paesaggi per arrivarci somigliano molto a quelli fatti per raggiungere la punta di Fanad, però la punta rocciosa lascia un po’ a desiderare. Forse, questi 150 in più km tra andata a ritorno si potevano anche risparmiare.
La Causeway Coastal Road
Scendendo da Malin Head a un certo punto si lascia l’Europa. Infatti si entra nell’Ulster, che siccome fa parte del Regno Unito, dopo la brexit non è più Europa. La prima città che si incontra è Derry (per gli irlandesi) o Londonderry (per i sudditi della regina): bella città con un centro storico racchiuso dentro un muraglione fortificato. E’ la città della “bloody Sunday” (la domenica di sangue), quando nella zona del Bogside i paracadutisti britannici uccisero 14 civili che manifestavano per l’indipendenza. Meriterebbe di essere vista con un po’ di calma, ma è tardi e devo raggiungere Portrush dove ho stabilito di fare tappa per la notte.
Il passaggio verso la “non più Europa” non è chiaramente visibile perché la frontiera ovviamente non c’è, ma qualcosa di diverso si nota subito. Le case di Derry hanno tutte i mattoni a vista e la piccola veranda a sbalzo tipica delle villette inglesi, mentre i bar si fa fatica a individuarli perché non hanno scritte e colori vivaci come quelli d’Irlanda. I cartelli stradali riportano i limiti in miglia. Te ne accorgi, perché dopo avere attraversato due o tre paesini a 30 all’ora con quelli dietro che danno segni di impazienza, è giocoforza svegliarsi e realizzare che quel “30” sono in realtà miglia, quindi più o meno 50 all’ora come da noi. Noto anche che sono stranamente scomparse le pecore. Forse qui sono più industrializzati e meno allevatori rispetto agli irlandesi. Gli ovini però ricompariranno più avanti, nelle vallate di Antrim.
Da Portrush andando verso est si snoda la bellissima Causeway Coastal Road, che mostra in sequenza i suoi tanti punti di interesse.
Il primo che si incontra è Dunluce Castle, un antico maniero appollaiato su uno sperone roccioso di fronte all’oceano. Una decina di km più avanti, proseguendo lungo la litoranea, si arriva al famoso colonnato di Giant’s Causeway, uno spettacolare affioramento di colonne e rocce basaltiche di forma rozzamente esagonale piazzato proprio davanti all’oceano. La quantità di colonne emerse che si possono vedere dipende dalla marea, che a volte ne copre un tratto. Frotte di turisti si aggirano tra le colonne in cerca di un buon punto per la foto ricordo, stando bene attenti a non scivolare sul basalto bagnato dalla risacca. Alcuni punti delle formazioni rocciose hanno nomi curiosi: “gli stivali del gigante”, “il cammello”, “la sedia di desideri”, “l’organo”. Ma l’attrattiva più ricercata di questo bel tratto di litorale atlantico si trova un po’ più avanti: il famoso e strafotografato ponte di corde di Carrick-a-Rede, poco prima di Ballycastle.
C’è brutto tempo quando arrivo al ponticello. Nuvole basse, un po’ di nebbia e un forte vento a 40 nodi (70 all’ora) che spazza la costa e rende faticoso percorrere il sentiero di circa 1 km che dalla biglietteria porta alla garitta di accesso al ponte. Per di più si mette a piovere: il vento violentissimo trasforma le gocce d’acqua in tanti piccoli proiettili che ti punzecchiano la faccia, ma avanti bisogna andare: siamo qui per il ponte, che diamine! Il ponte ovviamente oggi è interdetto al passaggio, e meno male, perché mette paura solo a vederlo dondolare di brutto sotto le folate del vento. Ma la gentile custode di guardia all’accesso rassicura i pochi infreddoliti che come me sono arrivati fin lì: “come tomorrow, weather will be better”. La guardiamo straniti, pensando che l’avrà detto per compassione mia e dei 4 giapponesi arrivati fin qui malgrado le intemperie, mentre il vento ci sbatte in faccia l’ennesima sferzata di ghiaccioli.
Torno a Portrush facendo il piano per il giorno dopo: Antrim, poi Belfast e avvicinamento a Dublino. Ma al mattino, al risveglio, raggi di sole fanno capolino tra le tende di pizzo della camera, niente vento e temperatura mite. Miracolo del pazzo meteo irlandese! Repentino cambio di programma ed eccoci di nuovo sulla strada per Ballycastle, stavolta in un’atmosfera idilliaca di quiete assoluta. Dove ieri c’erano onde di 4 metri che schiumavano contro la scogliera, oggi c’è calma piatta. Un gruppo di canoisti pagaia al largo e si infila tra le rocce, mentre sopraggiungono persino due acquascooter. Coda di mezz’ora per salire sul ponticello di corde, ma alla fine l’agognata traversata tra la terraferma e l’isoletta di Carrick si può fare in tutta tranquillità. Il ponte è in realtà molto più saldo di quanto si possa immaginare. Sull’isola, raggiunto il promontorio, si aprono magnifici panorami sulla costa a est e a ovest.
Proseguo sulla coastal way in direzione ovest. Poco più avanti c’è Kinbane Head. Non perdetevi questa punta poco conosciuta e pochissimo frequentata: dopo una discesa a precipizio di 100 metri lungo una scalinata a gradoni si raggiungono i resti dell’antico castello di Kinbane e da qui un altro promontorio con viste stupende sulla costa. Per chi non ha avuto il coraggio di passare sul Carrick-a Rede, o non ha potuto causa eccesso di affluenza, la punta di Kinbane è una bellissima e meno rischiosa passeggiata alternativa.
Antrim
Le colline e la costa della regione di Antrim sono solcate da stradine quasi tutte definite come “scenic road”: in effetti i paesaggi che offrono sono notevoli. Qualche tratto da non perdere: da Cushendun a Torr Head verso nord o a Waterfoot verso sud lungo la costa, da Glenarm a Ballymena verso l’interno. Lungo questo tratto c’è il curioso “vanishing lake” (il lago evanescente), che appare e scompare secondo la capacità del terreno di assorbire la portata d’acqua dei suoi tre affluenti.
Ma l’attrattiva principale della regione di Antrim è il vialone alberato Dark Hedges, vicino a Ballymoney. I grandi faggi secolari che delimitano il viale su entrambi i lati protendono e intrecciano i rami come ad abbracciarsi, formando una galleria naturale di giochi d’ombra e di luce che lascia letteralmente sbalorditi. Un angolo d’Irlanda magico, dove chiudendo gli occhi e lasciando correre l’immaginazione ti aspetti che appaia una fata dietro uno dei grandi tronchi. O magari, come narra la leggenda, il fantasma della signora del castello di Gracehill House.
E’ tempo di scendere verso Belfast.
Belfast
La capitale dell’Ulster, ingiustamente sottovalutata, si rivela una città vivace e interessante. La prima cosa da vedere è il Titanic Belfast, una grande rievocazione dedicata alla storia del transatlantico che affondò nell’aprile del 1912 al largo di Terranova. La nave fu costruita qui agli inizi del ‘900, tra il 1908 e il 1911 (un tempo record per l’epoca), dalla compagnia White Star Line nei cantieri Harland & Wolff, dove appena un anno prima era stato varato l’altro grande transatlantico Olympic.
Le scenografie del museo sono di un realismo eccezionale. Seduti sulla poltrona basculante di una monorotaia, si passa attraverso le officine dove i carpentieri forgiavano le parti della nave, compreso un altoforno ricostruito con tanto di colata di acciaio fuso. Si rivivono le fatiche degli operai, il sudore della sala macchine, le speranze dei viaggiatori, la drammatica sicurezza dei comandanti e purtroppo anche i tragici momenti dell’impatto con l’iceberg, dell’affondamento e del salvataggio dei pochi superstiti grazie all’arrivo del Carpathia che raccolse i segnali di SOS. Nei cortili della City Hall di Belfast si trova una statua che ricorda i defunti del Titanic.
Come ricordo della visita compro alcuni magneti da frigo che riproducono il biglietto per il viaggio a New York, da regalare.
Lascio la macchina lì al parcheggio del Titanic perché in città c’è la Belfast Marathon, e mi dicono che sarebbe un problema girare con l’auto. Applausi ai valorosi maratoneti che passano lungo il dock. Proseguo a piedi e mi imbatto nel curioso “Big Fish”, un enorme salmone azzurro alto 2 metri e lungo 10 piazzato sul molo lungo il fiume Lagan davanti alla Custom House, ricoperto da centinaia di tessere ceramiche che raccontano la storia della capitale dell’Ulster. Foto ricordo di prammatica davanti al pescione.
Girare a piedi per Belfast è piacevole e per nulla faticoso. Rapido tour per Victoria Square, centro commerciale per maniaci dello shopping, e da qui verso la maestosa City Hall, davanti alla quale c’è un viavai continuo di autobus a due piani che qui sono rosa. Lungo il viale ci sono numerosi taxi neri “black cab” stile anni ’50. Un autista però mi confessa che in realtà sono stati costruiti tra il 1995 e il 2005, con una carrozzeria vintage appositamente studiata.
Uno dei must di Belfast è il tour dei murales che tappezzano i muri della parte occidentale. La tradizione vuole che questo tour si faccia proprio con uno di questi curiosi taxi che ricordano un po’ l’antica Giardinetta della Fiat. Contratto un giro di un’ora e mezza per 35 pounds (munitevi di sterline presso qualche ATM, perché i taxisti dei black cabs non accettano euro). I murales sono a vario tema: quelli politici ricordano le lotte dell’IRA e del Sinn Fèin per l’indipendenza e il distacco dal Regno Unito, dedicando intere facciate alla raffigurazione degli eroi indipendentisti che sono morti per questo ideale. Altri murales raffigurano i paladini della libertà conosciuti in tutto il mondo: Nelson Mandela, Gandhi, Fidel Castro, il leader curdo Abdullah Ocalan. Altri ancora sono a sfondo ambientalista e naturalista. Qualche graffitaro si è intrufolato riuscendo a mescolare immagini di street art con quelle a sfondo sociale. Alla fine del giro il taxista mi mostra la sede attuale degli indipendentisti, ufficialmente chiusa, ma dice che in realtà qualche scintilla nazionalista ogni tanto scoppia ancora.
In serata, via verso Dublino. Lungo il tragitto, sosta al faro giallo e nero di St John’s e una eccellente cena con “half lobster + halibut” al Magee Seafood Bistro di Carlingford.
Dublino e dintorni
Ho scelto la cittadina costiera di Malahide come punto di sosta per l’area di Dublino. Qui c’è un castello circondato da quasi 300 acri di boschi che si dice sia abitato dai fantasmi. Bellissime le sale in legno a sbalzo e i pannelli in quercia. Vicino c’è Howth, altra cittadina marinara che ospita l’ultimo faro del tour, Baily Lighthouse.
Da Malahide si raggiunge comodamente Dublino con il treno della DART. Fermata Tara Street, da cui si arriva facilmente a piedi in tutti i punti più interessanti della città. Rapida occhiata a Ha’penny bridge, il più famoso dei ponti sul fiume Liffey, poi deviazione verso le stradine interne fino al Temple Bar, il pub rosso con lo stesso nome del quartiere che si vede nelle foto di tutte le guide turistiche. Qui i complessini suonano musica tradizionale a tutte le ore, tra gente che trangugia birra senza curarsi troppo dei musicanti.
La cattedrale di San Patrizio è una meta obbligata, con il bellissimo giardino primaverile pieno di tulipani in fiore. Per la messa (in rito anglicano) meglio la più tranquilla Christchurch Cathedral, dove un eccezionale coro si esibisce in canti sacri prima e durante la funzione.
Coda di un’ora al Trinity College per vedere il Book of Kells e la Old Library. Rispetto a 30 anni fa, adesso all’antico manoscritto istoriato realizzato dai monaci intorno all’800 è dedicata la sala principale dell’esposizione, con pannelli che spiegano i contenuti del libro e le stupende miniature. Da questa sala si accede alla magnifica “long room” della Old Library, dove circa 200.000 vecchi tomi riempiono gli scaffali in legno antico e colpiscono le scritte in latino nell’interstizio tra i due piani. Peccato che non si possa più salire sulla balaustra superiore, da cui si aveva una eccellente visione d’insieme della lunga sala, ma anche dal basso il fascino di questa storica biblioteca rimane intenso e intatto. La biblioteca è stata anche il set cinematografico di alcune scene di Harry Potter: camminando tra i corridoi si può rivivere l’emozione di essere a Hogwarts.
Due cose ancora prima di lasciare Dublino e l’Irlanda: un bel tè accompagnato da scones con clotted cream e marmellata di fragole, e dulcis in fundo una doverosa toccatina alle tette di Molly Malone in Suffolk Street. Dicono che porti fortuna.
Conclusione
km percorsi: 2500
contee attraversate: 15 (Tipperary, Cork, Kerry, Limerick, Clare, Galway, Mayo, Sligo, Leitrim, Donegal, Derry, Antrim, Down, Louth, Dublin)
fari visti: 5 (Baily Lighthouse, Loop Head, Burren Tower, Fanad Head, St John’s Lighthouse)
pecore incontrate: 100.000 o forse più
errori di corsia per la guida a sinistra: due
rischi di incidente: tre o quattro
insabbiamenti: uno
serate di musica irlandese: tre
Un giro bellissimo, di quelli che ti rimangono dentro per un bel po’.