Avventura nel Mar Glaciale Artico     

Più che di un viaggio, le foto e il diario raccontano di un’avventura vissuta nel Mar Glaciale Artico verso la fine di questa estate.

Si parte da Aasiaat, porto groenlandese poco sopra il Circolo Polare Artico, con l‘obiettivo di attraversare lo stretto di Davis e di raggiungere Qiqiktarjuaq, nella parte centrale dell’Isola di Baffin, quindi in territorio canadese. Siamo sulla piccola nave Cape Race, in grado di ospitare 15 persone. La nave è normalmente utilizzata per ricerche oceanografiche nei mari artici e quindi è dotata di una carena rinforzata in grado di frangere croste di ghiaccio non troppo spesse.

L’attraversamento dello stretto, accompagnati da megattere e orsi polari, si svolge tra stupendi paesaggi di ghiaccio e tramonti da favola, ma si rivela presto problematico a causa dell’estensione della calotta di ghiaccio, che quest’anno si espande molto verso sud fino quasi al canale di Hudson. Un fenomeno imprevisto e in controtendenza rispetto alla riduzione dei ghiacci polari di cui si sente parlare spesso. A un certo punto il pack raggiunge una copertura del 70-80% della superficie del mare, cosa che impedisce alla Cape Race di potere proseguire lungo la rotta di attraversamento suggerita dalla marineria di Toronto, che peraltro si rivelerà del tutto sbagliata.

Tra stormi di urie in volo e iceberg grandi come stadi di calcio scendiamo lungo la costa di Baffin Island fino al golfo di Pangnirtung, un tratto disabitato e incontaminato da dove poi dobbiamo tornare indietro perché le autorità canadesi ci impediscono l’attracco, non avendo potuto espletare le formalità doganali.

Avendo saltato una parte del programma canadese, abbiamo più tempo per conoscere le meraviglie della costa ovest della Groenlandia, da Sisimiut fino a Ilulissat e all’isola di Qeqertarsuaq.

Davanti a Ilulissat si apre la famosa Disko Bay (Qeqertarsuup Tunua in lingua inuktitut). E’ già sera quando facciamo il primo giro tra gli iceberg. Dalle montagne che delimitano il piccolo golfo si diffonde la stupenda luce arancio e indaco tipica delle regioni polari, che si mescola al turchese della parte sommersa degli iceberg e conferisce riflessi inimmaginabili alle sculture di ghiaccio. Il giro in barca tra queste maestose cattedrali di ghiaccio, alte più di 100 metri e lunghe oltre 500, riempie gli occhi e la mente di ammirazione e rispetto per quanto la natura è capace di creare. In alcuni iceberg l’erosione dell’acqua salata ha aperto grotte, spaccature, canali di acqua che assume tutta la gamma di colori possibili dal celeste al blu oltremare. Le increspature del mare vi si frangono contro con un leggero sciabordio. Ci passiamo vicino quasi a sfiorarli, mi domando se non sia pericoloso dato che sotto la parte emergente si nasconde una massa sette volte maggiore di quella visibile. Sinistri pensieri mi assalgono quando vediamo in lontananza un blocco di ghiaccio crollare in acqua con fragore, spezzando quello che fino allora era stato l’unico rumore: il singhiozzo dei motori della nostra imbarcazione.

Capisco, finalmente, perché gli inuit hanno quasi cento parole diverse per definire il ghiaccio, costituito com’è da una miriade di striature e infiniti colori: bianco, grigio, blu, indaco, azzurro, celeste, turchese, verde chiaro, prugna, lilla, rosa. La possanza degli iceberg ti domina, ti schiaccia, ti sovrasta. Ti accorgi di avere lo sguardo sempre rivolto verso l’alto, verso le sommità delle montagne di ghiaccio che vertono al cielo. Ci si sente piccoli come pulci, impediti e limitati, pur in possesso di una tecnologia che attraverso gli obiettivi sofisticati e i sistemi di ingrandimento e puntamento delle macchine fotografiche e delle telecamere digitali ti permette di osservare meglio le dimensioni e i contorni di contorni di queste meraviglie che qualcosa o qualcuno è stato capace di creare.  

Sono centinaia e centinaia gli iceberg che, staccatisi dalla calotta glaciale, raggiungono il mare dopo avere disceso per circa 30 km il Kangia Icefjord, il fiordo di Ilulissat. Quando il fronte del ghiacciaio Sermeq Kujalleq (“il ghiacciaio del sud”), che vanta la maggiore produzione di iceberg di tutto l’emisfero settentrionale, viene a contatto con l’acqua marina, la temperatura più calda del mare provoca il distacco dei blocchi di ghiaccio, dando origine a monolitici iceberg. Paradosso della natura, l’acqua è una sostanza che allo stato solido pesa meno che allo stato liquido, per cui gli iceberg galleggiano. Una volta in mare aperto le correnti li spingono verso sud.

L’insieme di questi iceberg di dimensioni e forme stravaganti forma il più strano e meraviglioso dei musei a cielo aperto, costituito da migliaia di monumenti di ghiaccio: obelischi, macigni, palazzi, colonne, cime, archi, pinnacoli. Ogni iceberg è in sé un’opera unica: una meravigliosa opera d’arte della natura. Qui, per un attimo, l’era glaciale sembra ancora realtà. Non si può immaginare la grandezza che raggiungono. Sono alti cento metri e più, lunghi un chilometro e più.

Quando gli iceberg riescono a raggiungere la fine del fiordo cominciano a navigare in mare aperto inizialmente in direzione nord per poi venire investiti dalla corrente meridionale che li fa ritornare a sud verso l'oceano Atlantico. I più grandi iceberg si sciolgono completamente solo alle latitudini di 40° - 45°N (a sud della Gran Bretagna, circa all'altezza di New York).

Così un po’ più di un secolo fa, la notte fra il 14 e il 15 aprile 1912, un enorme blocco di ghiaccio staccatosi proprio da queste coste affondò poco a sud dell’isola di Terranova le speranze e i sogni di oltre 1500 viaggiatori saliti sul transatlantico Titanic per il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, dove la nave non arrivò mai.

Gli iceberg di Disko bay sono un grandioso spettacolo naturale unico al mondo, uno di quegli spettacoli di cui si dice “vale il viaggio”.

 

Kalaallit Nunaat e il Nunavut

Kalaallit Nunaat, la Groenlandia “terra degli uomini” in lingua inuit, è un territorio immenso e selvaggio, talvolta incontaminato, in grado di offrire spettacoli, colori e immagini uniche. Gli Inuit (cioè molto semplicemente “gli uomini”) sono un popolo fiero che merita rispetto. Per questo nel diario non ho fatto nessun accenno ai problemi di solitudine che alcuni disperati indigeni cercano di risolvere con la vodka e il whisky.

Il Nunavut invece è l’immenso territorio artico canadese, che si estende dal Labrador all’Alaska. Questo territorio in sostanza l’abbiamo solo toccato, sfiorato con lo sguardo, dato che non ci è stato consentito l’approdo.

Nel complesso, un viaggio eccezionale e spettacolare in luoghi dove ci si rende conto di quanto siano formidabili e a volte incontrollabili le forze della natura. Le luci di queste terre riempiono gli occhi fino a non farci stare più niente.